La comunicazione: che cos’è e come può essere classificata
La comunicazione cosa è? In questo articolo ci proponiamo di definire, per quanto possibile, il concetto di “comunicazione”.
Il punto di partenza è l’informazione, in quanto la comunicazione fonda su di essa.
I tipi di comunicazione su cui ci soffermeremo sono la comunicazione interpersonale, la comunicazione di massa e la comunicazione in rete.
Riporteremo anche alcune teorie riguardanti l’influenza che i mezzi di comunicazione di massa esercitano sugli individui e, in senso lato, sulla società.
Che cos’è l’informazione
L’informazione, essendo ciò che viene scambiato durante la comunicazione, è il primo concetto da definire.
L’assunto di base è che non c’è informazione senza differenza. L’antropologo, sociologo e psicologo britannico Gregory Bateson (1904-1980), in Mente e natura, un’unità necessaria (1979), definisce l’informazione una differenza che produce un’altra differenza.
Il soggetto assume un’informazione quando, dal confronto di due entità, percepisce la differenza. Ad esempio la statistica raccoglie informazioni lavorando proprio sulle differenze tra gli oggetti di ricerca.
La cibernetica e l’informatica ci forniscono un nuovo modo di descrivere l’informazione: quello quantitativo.
La cibernetica, secondo la definizione del matematico e statistico Norbert Wiener (1894-1964), è la “scienza del controllo e della comunicazione nell’animale e nelle macchine” (La Cibernetica. Controllo e Comunicazione nell’animale e nelle macchine, 1948). L’informazione è l’esito di un evento che ha due sole possibilità; l’unità minima di essa è il bit (binary digit: cifra binaria).
L’informatica riprende la quantificazione in bit per tradurre i contenuti informativi nel formato digitale: il contenuto informativo è trasformato in sequenza di due valori numerici, 0 e 1, che convenzionalmente corrispondono ai due stati del bit.
Dall’informazione alla comunicazione: il “modello Shannon-Weaver”
Si definisce spesso “comunicazione” il processo in cui vengono trasmesse informazioni. Questa è solo una delle definizioni possibili.
Nel 1949 si è diffusa una descrizione del processo di comunicazione nota come “teoria matematica della comunicazione” o “modello Shannon-Weaver” dal nome dei due matematici che ne sono stati ideatori: Claude Elwood Shannon (1916-2001) e Warren Weaver (1894-1978).
Gli elementi del processo di comunicazione, secondo questo modello, sono la fonte, l’apparato trasmittente, il canale comunicativo, l’apparato ricevente e il destinatario. Si susseguono i seguenti passaggi:
1 – la fonte elabora il messaggio;
2 – l’apparato trasmittente codifica il messaggio, lo trasforma in segnale e lo trasmette attraverso il canale comunicativo;
3 – il segnale passa attraverso il canale comunicativo, qui può essere disturbato da una sorgente di rumore;
4 – l’apparato ricevente decodifica il segnale;
5 – il messaggio ottenuto giunge al destinatario.
Obiettivo di questo modello è di evitare che il rumore influisca sulla qualità del messaggio o, almeno, di minimizzarne i danni.
Il “modello Shannon-Weaver” presenta quattro limiti:
1 – è incentrato sugli aspetti sintattici della comunicazione, cioè sul processo di trasmissione del messaggio, non sugli aspetti semantici, cioè sui contenuti del messaggio;
2 – è lineare: limita la comunicazione a un passaggio dall’emittente al destinatario;
3 – separa nettamente i ruoli di emittente e destinatario come produttore del messaggio e ricevente;
4 – ignora il contesto sociale in cui avviene la comunicazione, motivo per cui il modello è adatto alle macchine e non alle persone inserite in una comunità.
I limiti elencati sopra, tuttavia, non destituiscono totalmente di utilità il modello. Esso, infatti, resta importante in ambito ingegneristico.
Che cos’è la comunicazione
Dalle critiche al “modello Shannon-Weaver” si evince che la comunicazione non può essere ridotta a un processo di scambio di informazioni, ma è qualcosa di più complesso.
Definire la “comunicazione” è operazione tutt’altro che semplice e scontata.
Il sociologo Luciano Paccagnella, in Sociologia della comunicazione (Il Mulino, 2004), definisce la comunicazione “un processo di costruzione collettiva e condivisa del significato, processo dotato di livelli diversi di formalizzazione, consapevolezza e intenzionalità”.
In base a questa definizione, si capisce che il processo non va affrontato solo da un punto di vista quantitativo, cioè usando ad esempio il metro dell’informatica (di quanti bit è composto questo messaggio?), ma principalmente da un punto di vista qualitativo. È interesse del sociologo comprendere e descrivere il contenuto del messaggio, il contesto in cui esso viene emesso, la relazione del messaggio con altri sistemi, ecc.
Di seguito ci soffermiamo su tre aree della comunicazione:
1 – comunicazione interpersonale;
2 – comunicazione di massa;
3 – comunicazione in rete.
1. La comunicazione interpersonale
Si tratta di quel tipo di comunicazione che è praticato da due o più persone in uno spazio fisico comune, faccia a faccia, usando la voce o altri strumenti comunicativi non verbali come i gesti.
Le persone che comunicano non si scambiano solo informazioni. Esse, interagendo, costruiscono relazioni, fanno comunità. La comunicazione interpersonale influisce notevolmente sulle dinamiche del mondo sociale. Questo tipo di valutazione è di tipo prettamente sociologico.
Essa, per ovvie ragioni, è oggetto di studi della psicologia. La psicologia non può prescindere dal comprendere quest’area della comunicazione, essa è anzi al centro dei suoi interessi. Studiare la comunicazione interpersonale equivale a comprendere le relazioni tra il soggetto e le persone a lui vicine, in comunità che vanno dal nucleo familiare a gruppi più vasti (amici, colleghi di lavoro, ecc.). Lo psicanalista o psicoterapeuta interviene sulle relazioni che il paziente coltiva.
Da ultimo, la comunicazione interpersonale è anche materia di pertinenza della linguistica, in particolare della branca della sociolinguistica.
La sociolinguistica si fonda sulla relazione tra il linguaggio e la società. Oggetti di studio, di conseguenza, sono la lingua e la comunicazione in rapporto alla società e alla cultura.
La lingua cambia a seconda del contesto e degli influssi sociali, da qui la distinzione in cinque tipi di variazione:
1 – variazione diatopica: la lingua varia a seconda del luogo;
2 – variazione diastratica: la lingua varia a seconda dei gruppi e delle classi sociali di appartenenza;
3 – variazione diafasica: la lingua varia a seconda del contesto in cui avviene la comunicazione e del rapporto tra gli interlocutori;
4 – variazione diamesica: la lingua varia a seconda del mezzo utilizzato per comunicare;
5 – variazione diacronica: la lingua varia a seconda del periodo storico in cui si comunica.
2. La comunicazione di massa
La comunicazione di massa è la comunicazione che avviene attraverso i mass media, cioè i mezzi d’informazione che mirano a raggiungere un vasto pubblico: giornali, cinema, radio, televisione.
Il politologo statunitense Harold Lasswell (1902-1978) ha descritto la comunicazione di massa attraverso quello che è noto come “modello delle 5W” (Who, What, Where, Whom, What effects): chi comunica cosa, per mezzo di quali canali, a chi e con quali effetti.
Per quanto riguarda il “chi”, oggetti di studio sono le emittenti: redazioni giornalistiche, stazioni radio o televisive, ecc.
Per quanto riguarda il “cosa”, oggetto di studio è il contenuto del messaggio mediale.
Circa il “dove”, oggetti di studio sono i canali, e cioè i vecchi e nuovi mezzi di comunicazione.
“A chi” è destinato il messaggio è l’ulteriore oggetto di studio: il pubblico.
Circa gli “effetti”, si tratta di studiare le conseguenze dell’esposizione ai mezzi di comunicazione.
È famosa, a riguardo, la “teoria dell’ago ipodermico” (o “teoria del proiettile magico”), risalente al primo Novecento: i mass media sono capaci di inoculare sottopelle i messaggi a un pubblico ignaro e indifeso. Tale tesi, mai sostenuta da decisive ricerche empiriche, è rimasto un luogo comune tutt’oggi diffuso.
La successiva “teoria del flusso di comunicazione a due stadi” è incentrata sul ruolo del “leader d’opinione”: i mass media veicolano i messaggi al pubblico attraverso gli opinion leader i quali li interpretano, commentano, spesso li distorcono.
Negli anni Ottanta, in coincidenza con la larga diffusione della televisione, si verifica il “ritorno all’idea dei media potenti”. Si tratta, tuttavia, di un ritorno in una forma diversa: i media possono avere anche effetti non intenzionali, non inerenti decisioni importanti come gli orientamenti sul voto o le preferenze di acquisto; essi sono potenti perché costruttori di realtà sociale, influiscono sui processi di socializzazione, sulla morale, sulla cultura.
3. La comunicazione in rete
I mass media hanno contraddistinto l’epoca del capitalismo industriale. I computer – la cui prima diffusione è databile intorno agli anni Sessanta del Novecento negli Stati Uniti – sono caratteristici di una fase storica diversa: il passaggio alla società postindustriale o dell’informazione.
Il computer presto permette alle persone di scambiarsi dati e informazioni. La comunicazione via computer riguarda sia la struttura del mezzo tecnologico in sé sia le persone che interagiscono attraverso di esso. La comunicazione tra gli utenti, infatti, avviene tramite la trasmissione di dati informatici.
Dall’inizio degli anni Novanta, la Rete permette agli utenti di comunicare a distanza con diversi strumenti: si è passato da chat e forum ai social media. Le comunità virtuali, cioè le comunità che nascono in rete, non sono luoghi isolati e chiusi. La “vita in Rete” si è integrata con la vita reale, e oggi le persone, usando smartphone e simili, passano di continuo, nel corso di una giornata, da una dimensione virtuale a una dimensione reale.
La comunicazione in rete, in particolare quella che avviene nei social network, influisce sui mutamenti del linguaggio. La particolarità della comunicazione in rete è dimostrata dall’uso diffuso di nuovi simboli che prendono il nome di emoticon.