Dalle interiezioni alle emoticon: le forme espressive della scrittura

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Perché usiamo le interiezioni e gli emoticon? Sono forme espressive della scrittura.

La comunicazione tramite scrittura pone problematiche diverse rispetto a quella a voce, a distanza e in vicinanza, in cui ci si sente e ci si guarda. La voce, il volto, il corpo, esprimono emozioni con una immediatezza che non può essere perfettamente emulata dalla scrittura. Tradurre un’emozione in forma scritta è un problema che in scrittura si risolve in diversi modi: la scrittura è una forma di comunicazione diversa. Tramite essa le emozioni possono essere espresse in modalità alternative.

In questa sede ci occupiamo di emozioni come l’allegria, lo stupore, la stizza e simili, emozioni cioè che il corpo comunica in pochi attimi attraverso il volto e, in aggiunta, attraverso i suoni. La scrittura, è chiaro, non ha un volto né produce suoni, eppure contempla segni che riescono a sostituire le emozioni.

I segni più noti che esprimono le emozioni sono le interiezioni. Negli ultimi anni, però, con la massificazione di computer e simili e di smartphone, si è imposta un’altra tipologia di segni: le emoticon.

Di seguito descriviamo quelle che possiamo considerare le forme espressive della scrittura.

Che cosa sono le interiezioni

agenzia di traduzioniL’imprescindibile grammatica del linguista e filologo Luca Serianni, Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria (scritta in collaborazione con Alberto Castelvecchi e edita da UTET nel 1989), per quanto riguarda le interiezioni ci fornisce una definizione molto chiara:

L’interiezione o esclamazione è una parola invariabile che esprime una reazione improvvisa dell’animo (di gioia, dolore, sorpresa, diffidenza, sdegno: ah, oh, mah, ecc.) o manifesta, perlopiù accompagnata da gesti, un ordine (alt!), una preghiera (deh!), un saluto (salve!), un richiamo (senti!)”.

Le interiezioni sono spesso, ma non sempre, seguite dal punto esclamativo o interrogativo e richiedono ognuna, dal punto di vista fonetico, una intonazione particolare.

Possono esprimere, in un solo termine, il senso di una frase (ad esempio: “allora?” può significare, approssimativamente e a seconda del contesto, “che ti succede? che vuoi fare? sei pronto?”). Sono autosufficienti, cioè non esigono legami sintattici all’interno di una frase. Sono usate soprattutto nel discorso diretto, cioè nei dialoghi.

Come vengono classificate le interiezioni

Possiamo distinguere le interiezioni tra primarie e secondarie, e a queste aggiungere due forme particolari di interiezioni: i saluti e le onomatopee. Prendiamo ora in esame separatamente queste quattro categorie.

Le interiezioni primarie

Le interiezioni primarie si contraddistinguono per le caratteristiche grafiche particolari, tali da potersi considerare esterne al sistema linguistico di appartenenza. Non a caso molte di esse sono universali, prescindono dalla singola lingua. Le caratteristiche grafiche più note sono l’aggiunta del grafema h (ad esempio ah) e l’aggiunta di una stessa vocale o consonante (aah per lo stupore, uff, ufff per il fastidio, ohhh per la meraviglia, ecc.).

In Italia abbiamo sia interiezioni “indigene” (ad esempio eja) sia forestierismi (ad esempio alt per fermarsi, alé dal francese allez, per incitare la squadra di calcio allo stadio).

Oltre le interiezioni citate sopra, ricordiamo queste:

ahi: esprime dolore fisico e morale, può combinarsi con pronomi (ahimè, ahitè, ecc.);
bah: rassegnazione, fastidio;
beh, be’: forma apocopata di bene, si usa per chiudere un dialogo o per introdurre una nota critica o un commento di rassegnazione;
boh: dubbio, indifferenza;
deh: letterario: nel linguaggio poetico introduce un discorso;
eh: “così così”, sogghigno, e altre sfumature;
ehi: richiama l’attenzione dell’interlocutore;
ehm: dubbio, minaccia;
ih: sorpresa, disgusto, se ripetuta indica un riso canzonatorio;
mah: dall’avversativa ma, indica incertezza;
marsch, marsc, marc, marsc’, marc’: comando militare che indica “in marcia”;
neh: “non è vero?”, “davvero”;
o: rafforza il vocativo;
oh: gioia, sorpresa, dolore, ira;
ohi, oi: sofferenza fisica e morale, può combinarsi con pronomi (ohimè, oitè, ecc.);
ps, pst!: richiamo ravvicinato, può introdurre un consiglio;
puah: disgusto;
sciò: per scacciare animali ma anche uomini;
st, sst: per imporre silenzio;
to’, toh: imperativo apocopato di togliere, accompagna il gesto di dare qualcosa a qualcuno (ad esempio “percosse”), o indica sorpresa;
uff, uffa: noia, fastidio;
uh: sorpresa, disappunto, dolore, ilarità;
uhm: dubbio, perplessità;
veh, ve’: forma apocopata di vedere, si usa per richiamare o ammonire qualcuno.

Interiezioni primarie sono anche le imprecazioni: perdinci, maremma, caspita, ecc.

Le interiezioni secondarie

A differenza delle interiezioni primarie, le interiezioni secondarie sono una categoria aperta: vi si possono includere, infatti, data la loro forma, infinite interiezioni. Hanno, inoltre, un significato immediato.

Ci sono le interiezioni con funzione conativa (cioè che agiscono direttamente sul destinatario del messaggio):

quelle che esprimono un ordine: zitto!, voce!, fuori!, basta!, ecc.;
quelle che esprimono un’esortazione: coraggio!, su!, ecc.;
quelle che esprimono un biasimo: male!, sciocco!, ecc.

Ci sono poi le interiezioni con funzione fàtica (cioè riguardano il canale comunicativo usato): pronto?, senti?, ecc.

I saluti

La categoria dei saluti include le interiezioni usate come formule di saluto: addio, arrivederci, arrivederla, buondì, buongiorno, buonasera, buonanotte, giorno!, sera!, notte!, ciao, nuovamente, di nuovo, salute, salve.

Le onomatopee (o fonosimboli)

Costituiscono una categoria di parole solo affini alle interiezioni, poiché vi sono delle differenze.

Le onomatopee, per definizione, sono sequenze foniche che riproducono o evocano un suono. Sono quasi uguali in tutte le lingue.

A differenza delle interiezioni che sono in gran parte esclamazioni, le onomatopee possono essere parti del discorso autonome, potendo anche essere nomi (ad esempio il ticchettio) o verbi (ad esempio il tintinnare).

Le più usate sono quelle zoologiche, cioè quelle che imitano i versi degli animali: cip cip per gli uccellini, be per le pecore, miao per i gatti, bau per i cani, ecc.

Che cosa sono le emoticon

La parola emoticon è inglese e deriva dall’unione dei termini emotion (emozione) e icon (icona). La emoticon è infatti un’icona, un’immagine, che esprime, in una comunicazione per canali informatici – posta elettronica, social network – o per telefono cellulare e smartphone – messaggi, WhatsApp – principalmente lo stato d’animo del mittente (in seguito ha incluso tanto altro).

Il contesto storico in cui vengono utilizzate le emoticon è quello contemporaneo in cui la comunicazione informatica ha ampia diffusione, in cui gli interlocutori comunicano attraverso uno schermo e devono risolvere il problema dell’ambiguità di un messaggio, della possibilità che un messaggio possa essere frainteso: le emoticon riescono a comunicare, infatti, in maniera indiretta ma con una certa efficacia, i toni, le espressioni che si celano dietro un messaggio.

Le emoticon vengono create mettendo insieme dei segni elementari: ad esempio, il più classico smiley e cioè la faccina sorridente viene fuori dall’unione dei due punti, del meno, e della parentesi tonda chiusa [ 🙂 ].

Quello delle emoticon è un vero e proprio codice standard, cioè comune a tutti quelli che scrivono in rete, un codice universale utilizzato con straordinaria frequenza.

In una fase iniziale il destinatario poteva vedere solo l’unione dei segni, oggi, invece, l’unione dei segni genera automaticamente un’icona stilizzata, e queste icone variano le loro caratteristiche grafiche a seconda del mezzo (per intenderci, lo smiley generato su facebook è diverso da quello generato su WhatsApp).

Quando e come nasce l’emoticon

La nascita delle emoticon, cioè la prima volta che esse vennero usate intenzionalmente e consapevolmente per rendere la comunicazione più empatica, non è unica. Sono due infatti le date che ci sono note.

La prima è il 12 aprile 1979. In questa data Kevin MacKenzie, in uno dei primi BBS e cioè un computer con un software che permetteva a utenti esterni di connettersi tramite linea telefonica e comunicare attraverso la messaggistica, inviò un messaggio agli iscritti del gruppo in cui suggeriva l’utilizzo di alcuni segni, in una forma ancora grezza, per esprimere emozioni nei messaggi.

La seconda è il 19 settembre 1982. In questa data l’informatico statunitense Scott Fahlman propose su un BBS dell’università Carnegie Mellon l’utilizzo dei segni che compongono ancora oggi la faccina sorridente [ 🙂 ] e la faccina triste [ 🙁 ].

Se diverse sono le date, comune è l’esigenza di MacKenzie e Fahlman: rendere i messaggi meno freddi, rendere più chiara la comunicazione informatica tra persone reali.

Interiezioni e emoticon: linguaggi diversi, funzioni simili

Come possiamo constatare, le interiezioni e le emoticon appartengono a linguaggi diversi: le prime sono parte delle grammatiche e dei dizionari delle lingue che si parlano nel mondo, le seconde, invece, appartengono al linguaggio informatico, sono segni generati da una tastiera per apparire in uno schermo, ideati dalle persone per supporti artificiali.

Un’altra differenza evidente riguarda la storia: possono trovarsi interiezioni anche in testi antichi, al contrario le emoticon nascono di recente e sono di utilizzo quotidiano da pochi anni.

La prima cosa in comune è che entrambi i codici sono usati dalle persone. Ciò che è più importante, tuttavia, è che nascono per una esigenza delle persone che abbiamo più volte ripetuto e che ribadiamo: quella di migliorare la comunicazione, di renderla chiara, di evitare fraintendimenti, di evitare che sia fredda. Sia le interiezioni sia le emoticon imitano, spesso, le espressioni facciali delle persone, quelle stesse espressioni che permettono alle persone di capirsi dal vivo con immediatezza, oppure di dire qualcosa per fare intendere il contrario (ad esempio quando si fa ironia).