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Sulla traduzione: Roman Jakobson

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Linguistica e traduzione: Roman Jakobson

Sulla traduzione: Roman Jakobson - BWTraduzioniIn questo articolo ci proponiamo di affrontare il tema e il problema della traduzione da un punto di vista linguistico. Il linguista di riferimento scelto è Roman Jakobson, uno dei più importanti studiosi del Novecento.

Prima di concentrarci sulle riflessioni di Jakobson circa la traduzione, riteniamo necessario soffermarci sul rapporto tra linguistica e traduzione. Di fatto, Jakobson è uno dei primi linguisti a porsi il problema della traduzione.

Il rapporto tra linguistica e traduzione

Il linguista francese Georges Mounin (1910-1993), in Teoria e storia della traduzione (1965), dedica diverse pagine al rapporto tra linguistica e traduzione.

La prima cosa che fa notare è che, paradossalmente, fino agli anni vicini alla pubblicazione del suo libro la linguistica non si era mai occupata della traduzione in quanto operazione linguistica” (p. 69, traduzione di Stefania Morganti).

L’“incontro” tra traduzione e linguistica avviene quando vengono effettuate le prime ricerche sulla traduzione automatica. I tecnici che portano avanti queste ricerche – e cioè ingegneri, matematici, logici, esperti di elettronica – presto capiscono che i problemi e le difficoltà che devono affrontare di volta in volta sono dovuti a un loro limite: la mancanza di analisi linguistiche circa i processi di traduzione. E tuttavia, quando questi cercano di coinvolgere i linguisti nelle ricerche, sorge un ulteriore problema: la linguistica non è ancora adeguatamente preparata in materia di traduzione.

Fëdorov: necessità di una teoria della traduzione basata sulla linguistica

Andrej Venediktovič Fëdorov (1906-1997), filologo e traduttore russo, in Introduzione alla teoria della traduzione (1953) sostiene la necessità della linguistica come fondamento di una teoria della traduzione di valore scientifico.

Mounin, nel libro sopra citato, riassume le tesi di questo testo in cinque punti:

1 – La traduzione, essendo un’attività di eccezionale importanza per la cultura e per le relazioni sociali, necessita di una base teorica.

2 – La teoria della traduzione fonda sullo studio dei casi particolari, cioè delle traduzioni effettuate, e rifugge soluzioni fantasiose o arbitrarie.

3 – La traduzione può essere studiata sotto diversi punti di vista, da quello storico a quello psicologico, ecc. Tuttavia, poiché la traduzione riguarda la lingua, il punto di vista più importante è quello linguistico, e a esso vanno subordinati gli altri punti di vista.

4 – Il punto di vista linguistico non ambisce a risolvere tutti i problemi di traduzione, ma a costituire una base di appoggio solida, un punto di partenza sicuro.

5 – Data l’importanza del punto di vista linguistico, si deve partire dalle problematiche linguistiche concernenti la traduzione.

Mounin accetta la prospettiva di Fëdorov, una prospettiva che pone la linguistica come elemento base per risolvere i problemi di traduzione:

la traduzione non è mai un’operazione unicamente né totalmente linguistica, ma è prima di tutto e sempre un’operazione linguistica; e più ancora: a parer nostro essa deve in primo luogo desumere dalla linguistica generale quelle risposte ch’essa fornisce o può fornire ai suoi problemi specifici: che cos’è il senso di un enunciato linguistico? Che cosa sono gli imponderabili della lingua detta «affettiva», o della lingua estetica che scoraggiano i traduttori?”

(da Mounin, Teoria e storia della traduzione, cit., p. 74.)

Chi è Roman Jakobson

Romàn Òsipovič Jakobsòn nasce a Mosca nel 1896 da famiglia ebraica. Mentre studia all’Università di Mosca (si laurea nel 1918), nel 1915 fonda insieme a altri studenti il «Circolo Linguistico di Mosca».

Prosegue gli studi di dottorato a Praga e lì poi lavora per l’ambasciata sovietica. Viene sospettato dalla polizia cecoslovacca di essere una spia.

Sempre a Praga, nel 1926, insieme al linguista ceco Vilem Mathesius (1882-1945), fonda il circolo linguistico della «Scuola di Praga», cui si uniscono gli ex membri del circolo di Mosca Nikolaj Trubeckoj (1890-1938) e Sergej Karcevskij (1884-1955), e inoltre l’anglista Bohumil Trnka (1895-1984), lo slavista e boemista Bohuslav Havránek (1893-1978) e lo studioso di estetica Jan Mukařovský (1891-1975).

Discussa nel 1930 all’università tedesca di Praga la tesi dal titolo La versificazione nelle epopee popolari serbo-croate, nel 1931 inizia a insegnare lingua russa e letteratura ceca antica all’università Masaryk di Brno e in seguito insegna all’università Carolina di Praga. Intanto, nel 1937, prende la cittadinanza cecoslovacca.

In seguito all’invasione tedesca è costretto a andare in Scandinavia, dove insegna in diverse università. Quando i tedeschi giungono in Norvegia, si sposta con la moglie prima in Svezia e poi, nel 1941, negli Stati Uniti.

A New York collabora con l’antropologo strutturalista francese Claude Lévi-Strauss (1908-2009) e conosce i linguisti e antropologi americani Franz Boas (1858-1942), Benjamin Lee Whorf (1897-1941) e Leonard Bloomfield (1887-1949).

Dal 1943 insegna alla Columbia University, insegnamento che lascia nel 1949 a causa delle continue accuse di simpatie filocomuniste.

Nel 1952 viene naturalizzato cittadino americano.

Muore a Cambridge (Massachsetts) nel 1982.

I maggiori contributi teorici di Jakobson

Jakobson è stato autore di contributi teorici fondamentali nel campo della linguistica in particolare e in quello del linguaggio in generale.

Con Lévi-Strauss giunge alla conclusione che la lingua ha avuto origine combinando gesti e suoni e, quindi, producendo così i fonemi. Un fonema è un’unità fonologica minima con valore distintivo, capace di produrre variazioni di significato quando viene scambiata con un altro fonema.

In uno studio sul poeta futurista Velimir Chlebnikov (1885-1922), Jakobson distingue il linguaggio poetico da quello naturale: il linguaggio della poesia ha una funzione estetica, è indifferente all’oggetto descritto. Tali conclusioni sono alla base del formalismo russo.

Fonda con Trubeckoj una importante branca della linguistica: la fonologia. In questo campo distingue dodici segni acustici binari che ritiene universali, presenti in tutte le lingue.

Con lo studio sull’afasia in cui collega i disturbi del discorso ai dati neurologici, Jakobson pone le basi di un’altra branca della linguistica: la neurolinguistica.

Individua sei funzioni del linguaggio:

1 – emotiva: attenzione riposta sul mittente;
2 – fàtica: concernente il canale in cui passa il messaggio;
3 – conativa: attenzione riposta sul destinatario;
4 – poetica: concernente il messaggio;
5 – metalinguistica: concernente il codice condiviso tra mittente e destinatario;
6 – referenziale: concernente il contesto in cui avviene la comunicazione.

Aspetti linguistici della traduzione. Premessa

Il saggio di Jakobson Aspetti linguistici della traduzione è stato pubblicato in una raccolta curata da Reuben Arthur Brower (1908-1975): On translation (Harvard University Press, 1959).

Jakobson inizia la trattazione negando una tesi del filosofo gallese Bertrand Russell (1872-1970). Russell sostiene che per comprendere il senso di una parola è necessario fare esperienza non linguistica di ciò cui essa si riferisce. Jakobson ribatte ricordando che ci sono parole a noi familiari nonostante l’impossibilità di farne esperienza: ad esempio «ambrosia» o «dèi».

Jakobson poi afferma che “non esiste significato senza segno” (Aspetti linguistici della traduzione, in Saggi di linguistica generale, 1963, a cura di Luigi Heilmann, traduzione di Luigi Heilmann e Letizia Grassi, Feltrinelli, 1978, p. 56) e che è necessario ricorrere ad una serie di segni linguistici se si vuole far comprendere una nuova parola (cit., p. 57).

Il senso delle parole, secondo il linguista russo, è senza dubbio un fatto linguistico, o, più precisamente e comprensivamente, un fatto semiotico (cit., p. 56).

Le tre forme di interpretazione e traduzione dei segni linguistici

Poiché per interpretare e spiegare un segno occorrono altri segni, Jakobson distingue tre forme di interpretazione che sono anche tre forme di traduzione:

1 – traduzione endolinguistica: detta anche riformulazione, è l’interpretazione dei segni linguistici usando altri segni della stessa lingua;

2 – traduzione interlinguistica: è la traduzione, e cioè l’interpretazione dei segni linguistici usando i segni di un’altra lingua;

3 – traduzione intersemiotica: detta anche trasmutazione, è l’interpretazione dei segni linguistici usando sistemi di segni non linguistici.

Problemi di traduzione

Il problema principale nella traduzione è l’impossibilità di tradurre perfettamente un messaggio da una lingua a un’altra. La presenza di due codici (cioè due lingue) diversi implica che, passando da un codice a un altro, non si possa giungere a un’equivalenza assoluta dei segni linguistici. Due lingue hanno elementi in comune ma soprattutto elementi che le differenziano. Il compito del linguista è quello di studiare e spiegare questi aspetti: “l’equivalenza nella differenza è il problema centrale del linguaggio e l’oggetto fondamentale della linguistica” (cit., p. 58).

Jakobson sostiene che ogni “esperienza conoscitiva”, ogni concetto può essere espresso in tutte le lingue. A supporto delle lingue ci sono i prestiti, i calchi, i neologismi, le trasposizioni semantiche e le circonvoluzioni. Le lingue si differenziano anche nell’uso delle categorie grammaticali, per cui nei casi di lingue che mancano di alcune di queste categorie, bisogna ricorrere a mezzi lessicali.

Il linguaggio in generale esige l’attuazione di un processo di “ricodificazione”, e cioè di interpretazione di un codice attraverso altri codici. Casi particolari e discussi sono quelli di forme intraducibili da un codice a un altro: ad esempio i motti di spirito.

A conclusione del saggio, Jakobson sostiene la tesi dell’intraducibilità della poesia:

È possibile soltanto la trasposizione creatrice: all’interno di una data lingua (da una forma poetica ad un’altra), o tra lingue diverse. Oppure è possibile la trasposizione intersemiotica da un sistema di segni ad un altro: per esempio dall’arte del linguaggio alla musica, alla danza, al cinematografo, alla pittura.”

(Cit., pp. 63-64.)