In questi ultimi anni sempre più di frequente scopriamo nuove edizioni di classici ritradotti. Libri letti in traduzioni degli anni Cinquanta o Sessanta del Novecento, li ritroviamo oggi in una nuova traduzione che si propone come migliorata rispetto alle precedenti.
Pensiamo alla pubblicazione di Anna Karenina di Tolstoj da parte della casa editrice Einaudi di cui tanto si è parlato o alla più recente pubblicazione da parte della Mondadori di Cent’anni di solitudine di Márquez.
Dinanzi a questa operazione di ritraduzione dei classici cui non siamo abituati, viene naturale chiederci la ragione: perché mettere mano su traduzioni di decenni fa oramai consolidate nella nostra tradizione, riconoscibili in quanto lette da tante generazioni di lettori?
Cosa intendiamo per classici?
L’operazione di ritraduzione dei classici sembra perfettamente coerente con la prima definizione di “classici” che propone Italo Calvino in Perché leggere i classici:
I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito: «Sto rileggendo…» e mai «Sto leggendo…»
Libri spesso amati, vengono ripresi talvolta dai lettori con rinnovato piacere, e allora perché non rileggere un classico in veste nuova, in una traduzione diversa da quella conosciuta?
Quanto ci sarebbe da riscoprire di un classico in questa nuova traduzione? Tanto! Per ragioni che ora vedremo insieme.
Ritornando alle proposte di definizione dei “classici” da parte di Calvino, quella che più ci pare calzante è la seguente:
“Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”
Si pone l’accento sulla durata, perché la cosa più evidente ai lettori è che un classico, tra i tantissimi libri pubblicati di continuo e che durano una sola stagione, resiste al tempo, essendo sempre letto o almeno sempre conosciuto. La ragione di questa durata, di questa resistenza agli anni e ai libri, emerge proprio dalla definizione di Calvino vista sopra: i classici dialogano e continuano a dialogare con i lettori, hanno sempre cose nuove da dire, si comprende, allora, il motivo del piacere e della necessità di rilettura.
I classici devono essere ritradotti?
Le traduzioni dei classici in gran parte risalgono a decenni fa. La patina del tempo è evidente soprattutto nel lessico del traduttore, che ci può sembrare a tratti desueto, molto distante dalla lingua che usiamo. Se i classici resistono al tempo, non vale lo stesso per le traduzioni.
Le ritraduzioni dei classici sono necessarie per diversi motivi:
- Rendere lo stile, il linguaggio della traduzione più vicino al nostro;
- Ripulire il testo da elementi extratestuali spesso di carattere ideologico che potevano anni fa condizionare una traduzione;
- Rafforzare la traduzione attraverso la conoscenza di nuovi studi filologici e storici riguardanti il testo;
- Correggere gli errori commessi da traduttori che utilizzavano metodi e strumenti diversi rispetto ai traduttori contemporanei.
Sono tanti dunque i motivi per i quali riproporre i classici in nuove traduzioni è operazione di fondamentale importanza, tale che andrebbe estesa in maniera sistematica a tutte le traduzioni datate ancora in commercio.
Come è cambiata la figura del traduttore rispetto a anni fa
I decenni trascorsi hanno comportato anche un cambiamento nella figura del traduttore. In passato il linguaggio di traduzione era quasi omologato, un italiano corretto e elegante, a tratti aulico, non troppo rispettoso dello stile, delle stratificazioni della lingua di partenza e di altri elementi simili pur molto difficili da riportare in un testo tradotto. Lo stesso traduttore poteva non avere particolari competenze ma limitarsi alla conoscenza della lingua da tradurre.
Oggi che la figura del traduttore è in continua professionalizzazione, tante sono le competenze messe in campo oltre a una conoscenza migliore della lingua di partenza. Sono aumentati, con l’avanzamento della tecnologia, gli strumenti a disposizione del traduttore: risorse lessicografiche e ricerca terminologica potenziate, possibilità di ricorrere al web, programmi informatici.
La traduzione è affrontata in tutta la sua complessità, tenendo conto di stile e poetica dell’autore. Il metodo di traduzione, anche in virtù dello studio delle teorie della traduzione, si è raffinato molto.
Cos’è una ritraduzione?
Una ritraduzione è una traduzione sottoposta a un processo di attualizzazione sia nella scrittura sia nell’interpretazione. La nuova traduzione impone una riscoperta del testo di partenza, offre quindi al lettore qualcosa che al contempo gli è familiare e nuova.
La necessità di ritradurre i testi porta a una conclusione teorica fondamentale: una traduzione non è mai definitiva, è sempre superabile.
L’ultimo classico ritradotto: Cent’anni di solitudine di Márquez
A cinquant’anni dall’uscita, la Mondadori ha pubblicato il classico di Gabriel García Márquez, Cent’anni di solitudine (1967), l’opera in lingua spagnola più letta al mondo dopo Don Chisciotte della Mancia, in una nuova traduzione ad opera di Ilide Carmignani. Questa recente ritraduzione esemplifica quanto c’è di positivo in questo tipo di operazione.
La traduttrice, in un’intervista a «Il Tirreno», afferma senza mezzi termini che la nuova traduzione è un libro nuovo. Da un lato sono cambiati linguaggio, ritmo e lessico rispetto alla traduzione di Enrico Cicogna il cui lessico è volutamente più barocco, esotico. Dall’altro la Carmignani ha potuto servirsi dell’edizione critica dell’opera stabilita dalla Reale accademia e dalle Accademie della Lingua spagnola insieme a Márquez: l’autore intervenne sul testo soprattutto su punteggiatura e aggettivi.
Se ne deduce che le possibilità offerte dalla filologia e da un approccio più professionale alla traduzione hanno permesso di approntare una nuova traduzione più fedele all’originale, migliorata rispetto alla precedente nota ai lettori italiani.
Photos Credits: www.liberopensiero.eu