Letteratura e montagna. La nostra selezione.
Bàrnabo delle montagne – Dino Buzzati
Bàrnabo delle montagne è il primo romanzo pubblicato da Dino Buzzati (1906 – 1972), nel 1933. I temi, le atmosfere che si riverberano fin dalle prime pagine, attingono al materiale letterario che si rivelerà peculiare nel percorso del grande narratore e giornalista. Fiammeggiano lo sconcerto della modernità, la sua visione incompleta, e il creato che difende il mistero, un profetico altrove. La favola è un punto di vista decentrato, che svanisce coi rumori, che rende trasparente la superficie e i suoi battiti. Bàrnabo è un guardaboschi, e insieme ai colleghi sorveglia un deposito d’armi situato in una valle remota. Sembra prevalere, nel quotidiano, un senso di attesa, di contemplazione della natura, del suo dominio, ma i guardaboschi sanno anche di dover stare con gli occhi bene aperti e infatti, a un certo punto, subiscono l’attacco di un drappello di briganti. Impaurito, Bàrnabo non interviene in aiuto dei compagni e si nasconde mentre imperversa il conflitto a fuoco, gesto che gli costerà il licenziamento e lo obbligherà a lasciare il paese. Per lui si prospettano anni contrassegnati dal rimorso, in una terra per sempre straniera, in attesa di una seconda occasione, di riannodare i fili del proprio destino.
Il fondo del sacco – Plinio Martini
Il fondo del sacco – pubblicato nel 1970 – racconta l’esperienza da migrante di Gori, un ragazzo della Valle Bavona, nella Svizzera di lingua italiana. Il romanzo di Plinio Martini (1923 – 1979) mescola il privato – il calore degli affetti da cui Gori è costretto a separarsi -, alla dimensione collettiva, di un popolo afflitto dalla povertà, dalla mancanza di lavoro. L’animo vive un conflitto durissimo, che oppone alla solidità delle radici l’indeterminatezza degli orizzonti, dell’America, in un susseguirsi di presenze e distanze da colmare. Tornerà a Cavergno, Gori, nel suo nido montano, e non potrà che adattarsi ai mutamenti intercorsi durante la sua assenza. “Partire, tornare, non essere più né di qua né di là”: lo spaesamento è il sigillo di una gioventù sacrificata sull’altare della sopravvivenza, sospensione amplificata da una civiltà rurale agli sgoccioli, che Martini descrive con amore e dovizia di particolari. “Io a Cavergno son tornato proprio per quel ricordo e per levarmela dalla testa, forse devo parlarne una volta fino in fondo, a cominciare da capo per mettere insieme quello che abbiamo patito qui prima di partire, la nostra vita di allora, le bestie, il fieno, l’alpe, il letame, il mal di schiena e poi il buono, perché a essere giusto devo dire che abbiamo avuto anche di quello: forse mi può far bene a vuotare il sacco fino in fondo”.
Le stagioni di Giacomo – Mario Rigoni Stern
Nei paesi minuscoli, con i loro abitanti saldati dal senso di comunità, si realizza la storia, il genius loci. Mario Rigoni Stern (1921 – 2008) utilizza come punti di riferimento la casa, la famiglia, il territorio, per dar vita a un affresco doloroso e potente dell’Italia a cavallo delle due guerre mondiali. Il contesto (l’altipiano di Asiago) è quello caro al grande scrittore de Il sergente nella neve, e i tempi sono quelli successivi alla Grande Guerra, dove si accumulano rovine, miseria, disoccupazione, un senso di abbandono irreversibile. Giacomo, il protagonista del romanzo, aiuta la famiglia a recuperare residuati bellici sui campi di battaglia, scarti che poi verranno rivenduti ai grossisti di metalli per pochi centesimi. Un lavoro pieno di insidie, e che non dispensa dallo smottamento dell’anima, quando a riemergere dalla terra sono i corpi straziati dei soldati. Nella pietosa ricognizione Giacomo entra in contatto con i caduti in battaglia, e assorbe sempre più l’incanto della natura, il linguaggio segreto che le è proprio. Trascorrono gli anni, si delinea un nuovo ordine, e sull’altopiano giungono echi della retorica fascista: inesorabile si preannuncia un’altra stagione di guerre, e altri giovani si apprestano a ripercorrere, ingigantita, la tragedia di cui i “recuperari” sono stati testimoni.
L’ombra del bastone – Mauro Corona
Mauro Corona e il Quaderno Nero, una confessione vergata con una calligrafia stentata, datata 1920, la cui paternità è attribuita a Severino Corona detto Zino. L’incalzare delle parole racconta di istinti, tradimenti, della povertà atavica che confluisce nella follia, nell’esercizio dei sortilegi. È un confronto strenuo, appassionato, quello fra Mauro Corona e i territori del Vajont, dimensione spirituale elettrizzata dai contrasti, ferocia e pietà come sintomi della stessa affezione. Severino Corona detto Zino, l’impulso feroce che lo costringe a desiderare la moglie di Raggio, il suo migliore amico, e la persistenza della memoria, della luce, conservata come una lacrima di Neve in una bottiglia. La montagna osservata dal fondo dei crepacci, trasposta nel vino luciferino, nella violazione del buon senso: lo scultore di parole Mauro Corona non può che approvvigionarsi alla sorgente primaria, impervia, ai più interdetta: “Sento l’anima della vita nelle nostre Alpi, ricordi e memorie vive di quando ero piccolo, osservavo le ultime retroguardie di una vita austera, contadina, alpina, aspra.” Ne L’ombra del bastone “Mauro Corona ha raccontato la sua anima, il suo sangue, l’humus della sua terra madre, ripida, erta, la fatica, i prati con l’erba buona, le foibe infernali, i boschi e i monti di ciò che è vita e morte di lui, della sua gente.” Da unuomoincammino.blogspot.com
Il peso della farfalla – Erri De Luca
Con la sua profondità di sguardo Erri De Luca racconta due solitudini (di un camoscio e di un bracconiere) sul rarefatto palcoscenico montano. Il loro destino è incontrarsi, fronteggiarsi per poi sciogliersi in un abbraccio definitivo. Entrambi sono “Re dei Camosci”, e se la legittimazione per l’animale deriva dalla sua antica possanza, per l’uomo è indicativa di una mira prodigiosa, di una potenza di fuoco espressa da una Trecento Magnum e da una pallottola da 11 grammi. Caos e resa dei conti: in una sessantina di pagine la fenditura tra terra e cielo, dove l’anima del paesaggio si mescola al cammino dei viventi. Con Il peso della farfalla, la scrittura di Erri De Luca si dipana in funzione di uno svelamento immateriale: ‟La montagna nasconde, ha vicoli, soffitte, sotterranei, come la città dei suoi anni più violenti, ma più segreti.”
Le otto montagne – Paolo Cognetti
“Si può dire che abbia cominciato a scrivere questa storia quand’ero bambino, perché è una storia che mi appartiene quanto mi appartengono i miei stessi ricordi. In questi anni, quando mi chiedevano di cosa parla, rispondevo sempre: di due amici e una montagna. Sì, parla proprio di questo.”
Paolo Cognetti vivifica il tema dell’amicizia, e lo fa assorbendo la semplice verità delle cime, della natura attraversata e custodita. Pietro, un ragazzino di città che eredita dai genitori l’amore per la montagna, e sul versante opposto (ma solo formalmente) Bruno, che di quella montagna è figlio e ne celebra i ritmi, le tradizioni che si rinnovano nei gesti della sussistenza. Il loro incontro (alle pendici del Monte Rosa) si realizza nell’avventura, nei bagliori estivi fatti di esplorazioni e scoperte, tra le case abbandonate, il mulino e i sentieri più aspri, e prosegue lungo le stagioni accidentate, costellate di errori e fragili consapevolezze. Il nodo dell’amicizia è robusto, una stretta che si perpetua nella memoria e si compie come educazione alla vita. “Ogni volta lo stesso incantesimo: la scrittura attenta, evocativa, la parola misurata di Cognetti a raccontare frammenti di vita, il non detto che si insinua tra le pagine e ti resta dentro forse ancor più delle parole.” Debora Lambruschini da criticaletteraria.org
Il Cane, il Lupo e Dio – Folco Terzani e Nicola Magrin
Se l’illustrazione è un’impronta nel dipanarsi del racconto, le tracce lasciate da Nicola Magrin su copertine, carte e albi illustrati realizzano il contrappunto musicale, il segno che accompagna e asseconda l’immaginazione. Sue alcune delle più belle copertine di Einaudi, ha aggiunto delicatezza a opere (fra gli altri) di Primo Levi, Jack London, Matteo Righetto, Tiziano Terzani, Paolo Cognetti. L’acquarello è lo strumento che si innesta alla sensibilità di Magrin, e la perentorietà del gesto pittorico va di pari passo con l’assoluto: paesaggi, uomini e selvatici nel cuore del storia, esistenze fossili, che nulla hanno di provvisorio. Nel 2017 Magrin pubblica per Longanesi il suo primo libro illustrato, Il Cane, il Lupo e Dio, dando forma e colore a un racconto di Folco Terzani, parabola (per ragazzi ma non solo) contro il materialismo, l’avidità caldeggiata dal progresso. Il pellegrinaggio di Cane, che dalle comodità della vita domestica si ritrova ad affrontare l’imprevedibilità degli spazi aperti, è un vero e proprio viaggio iniziatico, una salutare provocazione delle risorse sopite. Accanto a Lupo si immerge nell’ambiente inospitale, impara a cacciare, a fiutare i pericoli, percorre il sentiero verso la Montagna della Luna, luogo di comprensione e di accoglimento della propria identità. Senza Padrone, libero dalla smania di possedere, Cane riscoprirà il sé più intimo, quello che lo accomuna a “miriadi di creature, grandi e piccine, nell’aria, nell’acqua e sulla terra, che ogni mattina si svegliano e non hanno niente”.
La montagna, il vuoto, la fenice – Reinhold Messner e Michele Petrucci
Reinhold Messner non ha bisogno di preamboli, di biografie: è una leggenda dell’alpinismo e gli acquerelli di Michele Petrucci ben testimoniano l’eccezionalità di un’esistenza proiettata verso l’assoluto, verso il superamento (e la conoscenza) dei propri limiti. La biografia a fumetti appare come un mezzo ideale, specifico nel rendere consistente il pericolo, la sconfitta, la ponderazione degli eventi. Le montagne, dalla prima scalata a cinque anni fino alla conquista, primo uomo nella storia, di tutti i 14 ottomila metri della Terra. Le scalate, e poi le spedizioni in Antartide o nel deserto del Gobi in Mongolia, sono una via di accesso alla libertà, esperienze che rivelano l’orizzonte più ampio, la connessione imprescindibile (e più che mai fragile) tra uomo e natura. “Bandiere sulle montagne non ne porto: sulle cime io non lascio mai niente, se non, per brevissimo tempo, le mie orme che il vento ben presto cancella.” (Reinhold Messner).
La manutenzione dei sensi – Franco Faggiani
La montagna riduce all’osso gli argomenti, è una specie di reagente che cristallizza le parole, rende memorabili gli incontri. Vera e propria manutenzione dei sensi: Franco Faggiani modella le vite di Leonardo, vedovo cinquantenne, un passato glorioso deragliato sul presente, e di Martino, un bambino taciturno, problematico, a cui è stata diagnosticata la sindrome di Asperger. Fra i due sussiste un legame, un patto che sancisce un affido temporaneo, e una corrispondenza caratteriale contraddistinta dalla laconicità, dal ripiegamento interiore. La metropoli confonde, sparge detriti del passato, e Leonardo decide di offrire a se stesso e a Martino la possibilità di un cambiamento: si trasferiscono nel comune di Cesana Torinese, in un’abitazione isolata, circondata da boschi e pascoli d’alta quota, luoghi che faranno riemergere i sensi sopiti, il desiderio di accordarsi alla sinfonia primordiale. La manutenzione dei sensi celebra l’imprevedibilità della vita, la paternità, la bellezza dei gesti arcaici e della cura. Essenziale è il paesaggio, il sistema di valori che si impone alle soglie dei duemila metri: l’aria tersa, i profili nitidi delle cime, la danza delle nuvole, acconsentiranno a una nuova percezione, allo sfaldarsi dei confini tra le molteplici diversità.
Mia sconosciuta – Marco Albino Ferrari
Per gli amanti del paesaggio, degli scenari naturali, Marco Albino Ferrari rappresenta una guida, un riferimento sentimentale e bibliografico imprescindibile. Scrittore e giornalista, collabora fin dagli anni novanta con riviste che si occupano di montagna. È stato direttore di ALP dal ’98 al 2001 e nel 2002 ha fondato la rivista “Meridiani Montagne”. Suoi articoli e reportage sono usciti su La Stampa, e su settimanali quali Il Venerdì, Panorama e Diario della Settimana. Innumerevoli i suoi lavori editoriali ispirati dal viaggio e dall’alpinismo, fra cui Frêney 1961 (Vivalda, 1996), Il vuoto alle spalle (Corbaccio 2000), In viaggio sulle Alpi (Einaudi, 2009), La sposa dell’aria (Feltrinelli, 2010), Alpi segrete (Laterza, 2011), La via del lupo (Laterza, 2012), Le prime albe del mondo (Laterza, 2012), Montecristo (Laterza, 2015).
Marco Albino Ferrari nel 2020 ha dato alle stampe un’opera (per Ponte alle Grazie) che si discosta in parte dalle sue precedenti. Si tratta di un memoir familiare, con protagonista la madre Rosamaria, donna agli antipodi delle convenzioni borghesi, indipendente, che irradia l’estasi della creatività e trasmette al figlio – suo unico amore – la passione per la montagna, i ghiacciai, le specie arboree pioniere. La protagonista di Mia sconosciuta trasuda vita, l’urgenza del presente, un’energia che si coagula negli anni a Courmayeur durante la guerra, nell’unione con Edi Consolo, mitico agente segreto della Resistenza, nelle notti senza luci della Ricostruzione, intorno ai tavolini del bar Jamaica a Milano, a stretto contatto con le avanguardie e i circoli dell’antiaccademia. L’opera (“un libro di montagna che raggiunge la cima del genere aprendosi ai vasti orizzonti della letteratura”) è stata candidata da Paolo Cognetti al Premio Strega 2021.