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I piatti preferiti da Montalbano – con ricetta

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Tutti i tentativi fatti per convincerci che l’arte culinaria è appunto arte, e che – ad esempio – in un cappero di Pantelleria vi sono i prodromi di una cultura millenaria oltre che un’eccellente e saporita combinazione di molecole, tutto ciò – e ci perdonino i sacerdoti del tempio gastronomico – sbiadisce al confronto dell’estasi provata e suggerita dal commissario Montalbano di fronte a una pietanza cucinata dalla domestica Adelina o proposta dal fido gestore della trattoria San Calogero.

L’aspetto cibo è primario nella costruzione del personaggio Montalbano, e accompagna la rappresentazione di una quotidianità che può essere quieta o carnale, a seconda che lo stesso commissario – o le figure (guarda caso) di “contorno” – si avviliscano nel sorseggiare una pastina in brodo o si avventino su un piatto unico della tradizione isolana.

Personaggio inscalfibile Montalbano, a suo modo profilato, scaturito da un blocco marmoreo, che grazie a una sorta di genialità artigianale (il magistero di Andrea Camilleri) esplode dalla pagina o dallo schermo televisivo in tutta la sua umana complessità. Il sedersi a tavola dopo una giornata di lavoro straniante, la contemplazione di una schiera di ghiottonerie esposte nella teca di un’accogliente pasticceria, l’odore di soffritto o di un sugo paradisiaco che ci ammalia mentre percorriamo una piazzetta a mezzogiorno: il campionario di sensazioni suscitate “in presa diretta” o dalla nostra memoria – tipicamente italiane, sanguigne, e ci perdonino questa volta i censori dei cliché nazionalpopolari – trovano piena corrispondenza nel volto e nel carattere “un po’ adulto un po’ bambino” di Montalbano, nel suo apparente navigare a vista (le sue bussole, i suoi appunti, li tiene pudicamente nascosti in un taschino) verso la risoluzione di un complicatissimo caso giudiziario.

Quindi l’essenzialità, il nitore di un protagonista (il commissario) scaturito da una mente passionale e algebrica (lo scrittore), processo miracolosamente naturale, d’acchito modello di una ben argomentabile identità sociale e culturale. Antipasto, primi, secondi e dolce (quest’ultimo vero e proprio suggello, celebrazione pagana) per farci sentire a casa mentre lungo i tornanti che lambiscono una scogliera o nella campagna infuocata dallo scirocco si compiono le risapute efferatezze, si architettano imbrogli a nostra insaputa.

CAPONATINA DI MELANZANE

Un piatto povero, antipasto della tradizione culinaria siciliana, cavallo di battaglia della domestica Adelina in grado di annientare, almeno per il tempo necessario alla degustazione, le facoltà di discernimento del commissario Montalbano. Ne esistono versioni molteplici, naturalmente, con pinoli, capperi, oppure tonno, alici o crostacei, che in ogni modo non possono prescindere dagli ingredienti base (melanzane, pomodori e basilico) e dal gusto verificabile al palato, che deve avere un’inconfondibile nota agrodolce.

Appena aperto il frigorifero, la vide. La caponatina! Sciavuròsa, colorita, abbondante, riempiva un piatto funnùto, una porzione per almeno quattro pirsone. Erano mesi che la cammarera Adelina non gliela faceva trovare. Il pane, nel sacco di plastica, era fresco, accattato nella matinata. Naturali, spontanee, gli acchianarono in bocca le note della marcia trionfale dell’Aida”. (da “La gita a Tindari” di Andrea Camilleri, Sellerio, 2000).

INGREDIENTI E PREPARAZIONE

– 500 ml passata di pomodoro al basilico
– 200 g di olive bianche snocciolate
– 2 gambi di sedano a tocchetti
– 50 g di capperi
– 3 melanzane
– 3 cucchiai di aceto
– 3 cucchiai di zucchero
– olio extravergine di oliva

Tagliate le melanzane a dadini e friggetele dopo averle tenute per più di un’ora in acqua e sale. A parte fate rosolare in un capiente tegame con poco olio le olive snocciolate, i capperi ed il sedano già bollito in acqua per una decina di minuti per intenerirlo. Aggiungete la salsa di pomodoro, l’aceto, lo zucchero e amalgamate bene. Versate nel tegame anche le melanzane e lasciatele insaporire per qualche minuto nel sugo a fuoco bassissimo, scuotendo di tanto in tanto il tegame per non farle attaccare la fondo. Trasferite la caponata nel piatto di portata e servitela ben fredda, anche il giorno dopo. (da mangiarebene.com).

SARDE A BECCAFICU

Un altro must per il commissario buongustaio e altro capolavoro della cucina popolare. Nasce dal mediterraneo, e si imbeve di sapori e suggestioni arabeggianti. È una pietanza semplice e succulenta, tanto che, nel romanzo “Il ladro di merendine”, induce Montalbano al parossismo gastroenterico. “S’arrisbigliò malamente: i linzòla, nel sudatizzo del sonno agitato per via del chilo e mezzo di sarde a beccafico che la sera avanti si era sbafàto, gli si erano strettamente arravugliate torno torno il corpo, gli parse d’essere addiventato una mummia.”

L’equilibrio è ovviamente raggiunto a partire dalla sapidità delle sarde, e ciò richiede un accurato accostamento degli ingredienti, tra sapori, odori e gradazioni. Cucina povera, si diceva, reinterpretazione di una consuetudine riservata all’aristocrazia siciliana: all’umile pesce azzurro, in origine, si preferiva, nei menù della nobiltà locale, prodotti derivati dalla caccia e dall’uccellagione.

INGREDIENTI E PREPARAZIONE

Occorrono un chilo e mezzo di sarde piccole e fresche, 180 gr. di pane grattugiato, 100 gr. di acciughe sotto sale, un pugno di pinoli ed uno di uva sultanina, il succo di un limone, prezzemolo, sale, pepe, un cucchiaio di zucchero ed olio d’oliva. Rosolate il pane grattugiato con qualche goccia d’olio e, quando avrà acquistato colore, versatene 2/3 in una terrina, incorporandovi l’uva sultanina, i pinoli, il prezzemolo ed i filetti di acciuga, il tutto ben tritato. Aprire le sarde lasciandole attaccate al dorso, togliete la testa e la lisca e riempitele con il composto preparato. Arrotolatele e disponetele su di una pirofila l’una accanto all’altra, separandole con foglioline di alloro. Cospargete il rimanente pane grattugiato ed il succo di limone zuccherato. Completate con un filo d’olio ed infornatele. (Da ierioggiincucina.myblog.it)

PASTA ‘NCASCIATA

Andò a casa, si mise il costume da bagno, fece una nuotata lunghissima, rientrò, s’asciugò, non si rivestì, nel frigorifero non c’era niente, nel forno troneggiava una teglia con quattro enormi porzioni di pasta ‘ncasciata, piatto degno dell’Olimpo, se ne mangiò due porzioni, rimise la teglia nel forno, puntò la sveglia, dormì piombigno per un’ora, si alzò, fece la doccia, si rivestì coi jeans e la camicia già allordati, arrivò in ufficio…” (Da “Il cane di terracotta” di Andrea Camilleri, Sellerio, 1996).

Arie d’opera, mitologia, l’eccezionalità che abbraccia i riti domestici, le energiche tentazioni del palato. “Piatto degno dell’Olimpo” e poi la materialità dei verbali di interrogatorio, l’imprevedibilità del femminaro Mimì Augello, vice di Montalbano. Esperienza quasi sovrannaturale, il trionfo di pasta ‘ncasciata compare in diversi romanzi di Camilleri, autentico sigillo di regionalità e sensualità conviviale. Molti i “protagonisti” che esaltano questo primo piatto sontuoso, dall’immancabile melanzana al caciocavallo fresco, e poi una drammaturgia accurata, dal bollore dei fuochi all’antro prodigioso di un forno possibilmente ventilato. Anche in questo caso le versioni della ricetta sono plurime, assecondano percezioni e tradizioni locali, ma al di là delle caratteristiche autoctone (Montalbano adora l’adattamento messinese) è opportuno non lasciarsi travolgere dalla bramosia e dalla voracità: appena abbandonato il forno, infatti, la teglia di pasta ‘ncasciata va lasciata riposare per una decina di minuti, per motivi di addensamento e per evitare fastidiose scottature al palato!

INGREDIENTI E PREPARAZIONE

– 2 melanzane viola
– 300 g carne tritata
– 700 ml passata di pomodoro
– 250 g piselli congelati
– 200 g mortadella a dadini
– 3 uova sode
– q.b. olio evo
– q.b. sale
– mezza cipolla
– 500 g pasta formato sedani,penne, maccheroni
– 3 foglie basilico
– q.b. parmigiano grattugiato
– 250 g mozzarella o formaggio pasta filata a dadini
– q.b. olio per frittura

Spuntare le melanzane, lavarle, sbucciarle (potete anche evitare) e tagliarle a fette non troppo sottili nel senso della larghezza. Sistemare le fette di melanzane in uno scolapasta, cospargendo di sale ogni strato, posizionare un peso e far riposare circa 30 minuti per eliminare l’acqua di vegetazione amarognola. Trascorso il tempo, eliminare i residui di sale, strizzarle bene tra le mani e friggerle in abbondante olio di semi sino a quando risulteranno molto dorate da ambo i lati. Allontanarle dall’olio e adagiarle su carta cucina.

In una pentola versare un generoso filo di olio, far imbiondire la cipolla tritata, unire la carne tritata e far cuocere a fuoco vivo sino a quando risulterà ben rosolata avendo cura di mescolare spesso. Unire la passata di pomodoro, regolare di sale e far cuocere per circa 30 minuti a fuoco basso. A fuoco spento unire le foglie di basilico. Lessare i piselli in abbondante acqua salata portata a bollore, scolarli e unirli al sugo.

Cuocere le uova in un pentolino pieno di acqua e calcolare circa 15 minuto dal bollore per ottenere uova sode cotte a perfezione. Scolarle, passarle sotto acqua fredda e sgusciarle.

Lessare la pasta e scolarla al dente. Rimettere la pasta in pentola e condirla con qualche mestolo di sugo. Sul fondo di una teglia antiaderente versare un po’ di sugo distribuendolo uniformemente, procedere con un primo strato di pasta (metà quantitativo di pasta), aggiungere la mortadella, i piselli, fette di uova dose, mozzarella o formaggio a pasta filata a cubetti, abbondante formaggio grattugiato, sistemare le fette di melanzane fritte, qualche mestolo di sugo e coprire con la pasta rimanente.

Cuocere in forno già caldo a 180°C per circa 20/25 minuti. La superficie della pasta deve risultare dorata con una deliziosa crosticina. Sfornare, far rapprendere qualche minuto e servire. E’ buona anche fredda ma si può riscaldare in forno qualche minuto per far filare nuovamente il formaggio. (Da blog.giallozafferano.it)

LINGUINE AL NERO DI SEPPIA

Per Salvo Montalbano ogni volta è una scommessa con se stesso e con l’impagabile talento della cuoca Adelina. L’intensità del gusto, la densità del nero, la sfumatura a puntino del vino bianco: i fattori in gioco rischiano di ottenebrare l’umore, o al contrario di condurre il commissario verso l’ennesimo climax sensoriale. “Da qualche tempo il commissario s’era addunato che Adelina, se lui era teso, turbato, nirbùso, in qualche modo l’intuiva da come lui al matino lasciava la casa e allora gli faceva trovare piatti speciali che gli risollevavano il morale. Quel giorno Adelina era entrata in azione, sicché Montalbano trovò pronto in frigo il sugo di seppie, stretto e nero, come piaceva a lui. C’era o no un sospetto d’origano? L’odorò a lungo, prima di metterlo a scaldare, ma magari questa volta l’indagine non ebbe esito.” (Da “Il cane di terracotta” di Andrea Camilleri, Sellerio, 1996).

La pasta con il nero di seppia è un primo piatto che unisce lo stivale italico, essendo tipico sia nel Veneto costiero che nel sud Italia, in particolar modo in Campania e nella Sicilia orientale. Ma il “total black” è anche di esportazione, come un capo griffato o una scintillante fuoriserie: lo possiamo incrociare nella brulicante Hong Kong, sul lungomare di Tsim Shan Tsui, o nelle propaggini desertiche della Coachella Valley in California. Pietanza di elezione democratica, nata dalla creatività e dall’ingegno di chi è costretto ad arrangiarsi con poco, nelle versioni dalmata (crni rižot) e catalana (arroz negro catalano) viene proposta con il riso in sostituzione della pasta lunga. Per Montalbano, ma non solo, un giro del mondo papillare, che ancora una volta accosta l’irruenza del gusto salmastro (il nero dimora nella sacca vescicale dei molluschi cefalopodi) alla delicatezza della compagnia di supporto (l’aglio, il prezzemolo fresco tritato).

INGREDIENTI E PREPARAZIONE

– Linguine 320 g
– Seppie da pulire, con la sacca del nero 700 g
– Aglio 1 spicchio
– Olio extravergine d’oliva 40 g
– Vino bianco 80 g
– Sale fino e pepe nero q.b.
– Prezzemolo tritato q.b.

Per preparare le linguine al nero di seppia, mettete a bollire l’acqua che vi servirà poi per cuocere la pasta: salate a bollore. Poi pulite ciascuna seppia: per prima cosa praticate un piccolo e leggero taglio sul dorso per estrarre l’osso della seppia, apritela a metà, quindi staccate delicatamente la sacca contenente il nero di seppia e tenetela da parte in una ciotolina coprendola con un tovagliolo inumidito in modo da non farla asciugare. Proseguite allo stesso modo per le altre. Dividete poi la testa dal resto del corpo, spellatela e tagliate via gli occhi assieme al dente centrale, tenendo invece la parte dei tentacoli. Prima di pulire l’ultima seppia ponete sul fuoco una pentola colma d’acqua salata e dal bordo alto, che servirà per la cottura della pasta. Sciacquate tutte le seppie così pulite sotto l’acqua corrente e tagliatele a listarelle, lasciando intera la parte dei tentacoli. Non appena l’acqua per la pasta avrà raggiunto il bollore, salate e versate le linguine e cuocete per circa 8 minuti o il tempo indicato sulla confezione. In una padella capiente scaldate l’olio di oliva con uno spicchio di aglio sbucciato, poi non appena l’aglio sarà dorato, toglietelo e versate le seppie, mescolate e fate rosolare per 5 minuti, poi sfumate con il vino bianco e lasciate evaporare per un paio di minuti. Aggiungete un pizzico di sale, poi versate le sacche di inchiostro in padella con l’aiuto di un cucchiaio rompete le sacche, facendo pressione con il dorso. Mescolate per insaporire le seppie. Nel frattempo la pasta sarà giunta a cottura, scolatela direttamente nella padella con le seppie. Aromatizzate con il prezzemolo fresco tritato, mescolate un’ultima volta e servite subito in tavola le vostre linguine al nero di seppia. (Da ricette.giallozafferano.it)

CANNOLI SICILIANI

Apoteosi finale, ma anche consacrazione, un inno alla vita che scrocchia e fa serrare le palpebre per la commozione. Ultimo round del pasto a regola d’arte, il cannolo è l’ipotesi barocca nella fiammeggiante epopea della pasticceria siciliana, lo scrigno sottile (cialda rigorosamente fritta nello strutto) pronto a spezzarsi nel trionfo di farcia (mareggiata freschissima di ricotta di pecora).

Se esiste un manicaretto che fa vibrare di piacere Montalbano questo è il cannolo, un po’ memoria gustativa della fanciullezza (con il corollario di dita imbrattate e punta del naso imbiancata), un po’ tramite per condividere sentimenti, gioie e malinconie della vita. “La prima cosa che il commissario notò sopra la scrivania di Pasquano, ‘n mezzo a carte e fotografie di morti ammazzati, fu una guantera di cannoli giganti con allato ‘na buttiglia di passito di Pantelleria e un bicchieri. Era cosa cognita che Pasquano era licco cannaruto di dolci. Si calò a sciaurare i cannoli: erano freschissimi. Allura si versò tanticchia di passito nel bicchiere, affirò un cannolo e principiò a sbafarselo talianno il paesaggio dalla finestra aperta. Il sole addrumava i colori della vallata, li staccava nettamente dall’azzurro del mare lontano. Dio, o chi ne faciva le veci, qua si stava addimostrando un pittore naïf. A filo d’orizzonte, uno stormo di gabbiani che se la fissiavano a fare finta di scontrarsi tra loro, in un virivirì di piacchiate, virate, cabrate che parivano ‘na stampa e ‘na figura con una squatriglia aerea acrobatica. S’affatò a taliarne le evoluzioni. Finito il primo si pigliò un secondo cannolo”. (Da “Il campo del vasaio” di Andrea Camilleri, Sellerio, 2008).

Sul cannolo, nella trinacria, si accendono contese, si argomentano teorie e suggestioni, di antichi monasteri con laboratorio annesso, di influenze arabe o di mitici artigiani istruiti dalla divinità dell’impasto. Ma quali sono i passaggi che rendono celestiale e soave sua maestà il cannolo, le accortezze essenziali affinché, ancora una volta, si realizzi il miracolo? “La scorza del cannolo, come tradizione comanda, viene realizzata un impasto a base di farina, strutto, aceto di vino, marsala e una piccola percentuale di cacao. Una volta riposato in frigo, va stesa una sfoglia molto sottile, tagliata in quadrati che vanno poi arrotolati nei cilindri di alluminio e infine fritti. Solo quando le scorze sono fredde, possono essere riempite con la classica crema di ricotta e decorati con la frutta secca. Il risultato conquisterà tutti: scorza croccante, leggera e piena di bolle e un ripieno cremoso e vellutato di ricotta che si scioglie letteralmente in bocca!” (Da tavolartegusto.it)