La traduzione di opere letterarie può essere assai problematica. Pur non scegliendo di tenere la posizione radicale di Walter Benjamin (1892-1940), ci sono casi di traduzioni complesse e anche casi di opere intraducibili. Benjamin, come abbiamo visto altrove, riteneva impossibile tradurre fedelmente anche solo una parola. Un caso noto di traduzione complessa è quello dell’Ulisse di James Joyce (1882-1941). Si tratta di un’opera che dal punto di vista linguistico pone problemi molteplici, una sfida per un traduttore. Tutta l’opera di Joyce è estremamente difficile da tradurre.
Un caso di traduzione impossibile può essere considerato quello di Esercizi di stile di Raymond Queneau. La definiamo arbitrariamente una traduzione impossibile perché pone molti più problemi di quanti un traduttore possa risolverne. Per “risolvere” si intende affrontare i problemi di traduzione con il maggior grado possibile di fedeltà al testo originale. Dunque, in quest’articolo ci proponiamo di trattare quello che Umberto Eco ha denominato “il caso Queneau”.
Chi è Raymond Queneau
Raymond Queneau nasce nel 1903 a Le Havre da famiglia di commercianti e fin da ragazzo coltiva molteplici interessi artistici e culturali: musica, cinema, letteratura, matematica e archeologia.
Negli studi consegue i seguenti risultati: “certificat” in filosofia generale e logica (1923), in storia generale della filosofia e in psicologia (1924) e in morale e sociologia (1925); “licence ès lettres” (1926).
Intanto, a Parigi, aderisce al movimento del Surrealismo e ne fa parte fino al 1925. Nel 1928 sposa di nascosto Janine Kahn, cognata di André Breton (1896-1966).
Dal 1933 al 1939 segue i corsi di Alexandre Kojève (1902-1968) sulla Fenomenologia dello spirito di Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831). Ne avrebbe curato la pubblicazione per Gallimard avvenuta nel 1947.
Nel 1933 esce la sua prima opera, Il pantano e l’anno successivo pone fine all’amicizia con Georges Bataille (1897-1962), amicizia iniziata nel 1930 che tanto ha influito, fino a quel momento, sul suo percorso intellettuale.
Dal 1937 inizia la collaborazione, inizialmente come lettore, con l’editore Gaston Gallimard (1881-1975) ma nel 1939 viene chiamato alle armi per poi essere congedato l’anno successivo.
Dopo la seconda guerra mondiale ottiene diversi incarichi di natura intellettuale e inizia a scrivere anche per il cinema per poi pubblicare il suo libro più famoso nel 1959, il romanzo Zazie nel metro.
Nel 1960 fonda, insieme a François Le Lionnais (1901-1984), il gruppo di scrittori e matematici OuLiPo (acronimo di Ouvroir de Littérature Potentielle: officina di letteratura potenziale). Vi aderiscono, tra gli altri, Italo Calvino (1923-1985) e Georges Perec (1936-1982).
Queneau Muore a Parigi nel 1976.
Esercizi di stile
Esercizi di stile di Raymond Queneau esce per Gallimard nel 1947, poi in una versione aggiornata nel 1963, e in un’altra edizione nel 1973.
Si tratta di una raccolta di 99 racconti che costituiscono altrettante variazioni stilistiche della stessa storia. Il primo di questi, Notazioni, funge da modello agli altri 98 e, a ispirare il libro di Queneau, è un’opera di retorica di Erasmo da Rotterdam (1467-1536): De utraque verborum ac rerum copia (Sulla facondia delle parole e dei ragionamenti, 1512-1534).
La trama della storia di Esercizi di stile è la seguente: a mezzogiorno c’è un uomo che si lamenta delle persone che lo spingono all’interno di un autobus affollato, poi trova un posto e si siede; due ore dopo lo stesso uomo è altrove con un amico che gli dice di far mettere un bottone in più al soprabito.
Queneau usa per le diverse versioni della storia criteri diversi:
– variazioni enigmistiche;
– variazioni retoriche;
– linguaggi settoriali;
– gerghi;
– lingue maccheroniche;
– variazioni di tipo testuale.
Queneau, dunque, cambia linguaggi, generi, usa particolari figure retoriche e giochi enigmistici.
Un libro comico e un esercizio sulla retorica
Il libro Esercizi di stile di Raymond Queneau produce un effetto comico, dal momento che lo scrittore nel libro presenta una parodia di generi letterari e di comportamenti linguistici.
Mette alla prova la sua sapienza in retorica, una retorica come scienza e tecnica, praticandone le diverse parti: elocutio, inventio, dispositio, pronuntiatio, narratio, compositio.
Come afferma Umberto Eco (1932-2016), il libro “è tutto un esercizio sulla retorica, anzi una dimostrazione che la retorica sta un poco dappertutto” (Introduzione a Queneau, Esercizi di stile, Einaudi, 2003, p. X). Questo esercizio sulla retorica, tuttavia, non va preso troppo sul serio ed è anche un gioco. Tutto il libro, come spiegato in seguito, può essere considerato un gioco.
Umberto Eco: che cos’è il rifacimento radicale
La traduzione italiana di Esercizi di stile di Raymond Queneau esce solo nel 1983, nell’edizione Einaudi. A compiere tale impresa è Umberto Eco. Il libro di Queneau, infatti, è stato considerato a lungo e per giuste ragioni intraducibile.
Eco, in Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione (edito da Bompiani nel 2003), distingue tra due modalità particolari di traduzione: “rifacimento parziale” e “rifacimento radicale”. Va detto che Eco precisa che non può essere stilata una “tipologia delle traduzioni”, bensì una “tipologia dei diversi modi di tradurre”. I modi di traduzione sono “forse infiniti” e a fare la differenza è il fine che il traduttore si pone di volta in volta.
Nel caso del “rifacimento parziale”, il traduttore, per riprodurre determinati effetti di un testo, è costretto a concedersi alcune licenze o a “violare”, talvolta, l’originale.
Nel caso del “rifacimento radicale”, il traduttore è costretto a “tradire” costantemente il testo di riferimento quando questo presenta tali peculiarità da apparire addirittura intraducibile.
Esercizi di stile è da considerarsi un esempio di “rifacimento radicale”. Un altro esempio riportato da Eco è il Finnegans Wake di Joyce.
Il libro di Queneau è traducibile per gli esercizi di contenuto, quelli, cioè, che sono in forma di pronostico, di sogno, di comunicato stampa, e simili. Diversamente, quando Queneau ricorre a giochi di parole o a figure retoriche, il libro si fa intraducibile e il traduttore è costretto a ricorrere al rifacimento.
I problemi di traduzione di “Esercizi di stile”
Umberto Eco è cosciente che il libro Esercizi di stile di Raymond Queneau non può essere tradotto letteralmente. Nell’introduzione all’edizione italiana afferma che si rischierebbe di commettere gli stessi errori dei traduttori di gialli americani:
“A tradurli letteralmente accadrebbe quello che accade ai traduttori di libri gialli americani, che si sforzano di rendere con improbabili trasposizioni pseudo-letterali, situazioni, vezzi gergali, professioni, modi di dire tipici di un altro mondo. E abbiamo mostruosità come «mi porti alla città bassa», che traduce /downtown/: il problema è che non si può dire cosa sia /downtown/ in italiano, non è sempre il centro (non lo è a New York), non è necessariamente il centro storico, non è ovunque la parte lungo il fiume, talora è il dedalo di viuzze dove regna la malavita, talora il nucleo dei grattacieli e delle banche… Per sapere cosa sia /downtown/ occorre conoscere la storia di ogni singola città americana.”
(Eco, Introduzione a Queneau, Esercizi di stile, cit., p. XVI.)
I problemi che pone il libro di Queneau sono i seguenti: c’è un legame forte con la lingua e con la società francese, ogni esercizio è legato all’intertestualità. Per questo motivo, Eco afferma che “bisogna, più che tradurre, ricreare in un’altra lingua e in riferimento ad altri testi, a un’altra società, e un altro tempo storico” (ivi, p. XVII).
La traduzione come gioco
Al cospetto delle enormi difficoltà poste da Esercizi di stile di Raymond Queneau, Umberto Eco deve trovare una soluzione. Il libro di Queneau, di fatto, è intraducibile. Intraducibile secondo il modo consueto in cui si intende una traduzione. Intraducibile diversamente da come lo intendeva Benjamin. Non si tratta, infatti, di un caso di “intraducibilità assoluta”, il caso, cioè, postulato dal filosofo tedesco secondo cui la traduzione, in assoluto, è impossibile a priori. Al contrario, è un caso in cui l’intraducibilità è dovuta a una molteplicità di variabili: il libro di Queneau pone troppi problemi di traduzione, al punto che tradurlo potrebbe non avere senso. Come tradurre un testo che in gran parte non è possibile tradurre con un buon margine di fedeltà all’originale?
Eco, come abbiamo visto, ricorre consapevolmente a un approccio alla traduzione che lui stesso definisce “rifacimento radicale”. Alla base di questo approccio c’è, però, un’intuizione di portata tale da rendere pienamente sensata la traduzione di un testo intraducibile. Grazie a questa intuizione il testo tradotto, pur essendo per lo più infedele al testo originale, ne mantiene le potenzialità. Questo è anche il motivo per cui di tale traduzione non poteva occuparsi un traduttore di mestiere, ma un traduttore “anomalo” in quanto possessore di diverse peculiarità. Eco, come è noto, è stato anche scrittore, semiologo, possedeva conoscenze vaste; era molto simile, come profilo, a Queneau.
L’intuizione è questa: siccome il libro di Queneau è un gioco di cui Queneau impone le regole, l’unico modo per tradurlo è riproporre lo stesso gioco in un’altra lingua e in un’altra cultura.
Riportiamo, qui di seguito, due passi in cui Eco esplicita la soluzione che ha trovato per questa traduzione, l’intuizione:
“Si trattava, in conclusione, di decidere cosa significasse, per un libro del genere, essere fedeli. Ciò che era chiaro è che non voleva dire essere letterali.
Diciamo che Queneau ha inventato un gioco e ne ha esplicitato le regole nel corso di una partita, splendidamente giocata nel 1947. Fedeltà significava capire le regole del gioco, rispettarle, e poi giocare una nuova partita con lo stesso numero di mosse.”
(Eco, Introduzione a Queneau, Esercizi di stile, cit. p. XIX.)
“[…] avendo Queneau giocato una certa partita in tante mosse, io tentavo di emularlo risolvendola in eguale numero di mosse, anche se cambiavo il testo. È ovvio che da alcuni dei miei rifacimenti nessun traduttore ignaro dell’originale potrebbe restituire qualcosa che – fuori contesto all’originale rimandi.”
(Eco, Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, cit., p. 302.)