Verrebbe da pensare che il dissenso plasmi un modello di scrittura, di interconnessione poetica. Lecito pensarlo, ma è altrettanto credibile considerare il percorso inverso: la forma romanzo come emersione – nel bene e nel male – dell’umano, e quindi di possibile negazione di un centro inviolabile, architrave di ogni potere assoluto. In una filiazione globale, che pesca nutrimento da culture e climi agli antipodi, si intreccia e mette radici il dissenso, l’incapacità di voltarsi. Sono storie, che il più delle volte non fanno sconti, e che in controluce interpretano o profetizzano i destini del mondo.
Khaled Khalifa (Siria)
Quinto di 13 figli, Khaled Khalifa nasce ad Aleppo nel 1964. Studia legge, dopodiché si dedica alla scrittura, pubblicando romanzi e raccolte di poesie, e ideando sceneggiature per il cinema e la televisione.
In ambito internazionale si è fatto conoscere nel 2006 con il suo terzo romanzo Elogio dell’odio, candidato al Premio Internazionale per la Narrativa in arabo e al Premio per la Narrativa straniera indipendente.
Qualche anno dopo ha ottenuto la Medaglia Naguib Mahfouz per la Letteratura con il libro Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città (2013).
Da sempre oppositore di Bashar al-Assad ha subito diverse minacce e violenze, tra cui la frattura di una mano nel 2012.
Nelle sue opere si integrano lirismo e trasposizione del reale; l’incedere narrativo collega epoche e tradizioni, la magnificenza del passato con l’odierno muro di tenebre. Prorompono le allegorie, la distanza il più delle volte incolmabile fra il desiderio di autodeterminarsi e l’orrore di un conflitto che ha causato 400.000 morti e oltre 10.000.000 di profughi.
Si intitola Morire è un mestiere difficile (Bompiani, 2019) l’ultimo libro dello scrittore siriano uscito in Italia, epopea familiare che fotografa plasticamente la destrutturazione delle ritualità in uno scenario di guerra. La morte di un padre, in un ospedale di Damasco, rende doveroso un ultimo omaggio: i tre figli decidono di seppellire il loro genitore nel paese dove è nato, e intraprenderanno con lui un viaggio nel cuore della guerra, tra controlli, sbarramenti e pericoli di ogni sorta. In Morire è un mestiere difficile il presente di Khaled Khalifa, accostandosi alla lezione di William Faulkner e del suo capolavoro Mentre morivo, si arroventa nell’invaso vulcanico del mito, testimoniandoci la realtà brutale e l’indicibile che ristagna nelle ferite dell’anima.
Liao Yiwu (Cina)
Liao Yiwu, nato nel 1958 a Sichuan, nel sud ovest della Cina, porta sulla sua pelle le ragioni del dissenso; rischiò di morire, ancora fanciullo, a causa della carestia indotta da Mao Tse Tung tra il 1959 e il 1961, mentre durante la Rivoluzione Culturale entrambi i suoi genitori vennero perseguitati dal regime comunista. Nel giugno 1989 partecipò alle manifestazioni studentesche che sfociarono nell’eccidio di Piazza Tienanmen; in quell’occasione l’esercito uccise oltre 10.000 civili, tracciando un’invalicabile linea di confine tra potere dello Stato e libertà individuali.
Quanto accaduto a Tienanmen ispirò a Liao la composizione di un poema intitolato Massacro, primo passo verso l’inclusione dello scrittore nelle liste nere del governo di Deng Xiaoping. A distanza di pochi mesi, infatti, Liao fu arrestato e condannato a 4 anni di prigione, durante i quali subì punizioni e torture che minarono pesantemente il suo equilibrio mentale.
Uscito dal carcere si ritrovò a vivere senza fissa dimora, costretto a mantenersi facendo il musicista di strada; frequentando da vicino la marginalità cominciò a interessarsi alle storie degli ultimi, degli esclusi dall’implacabile sistema sociale e politico cinese; ne nacquero delle interviste, che nel 2001 riuscì a pubblicare, raccolte in più volumi, a Taiwan.
Negli anni successivi continuò a subire l’ostracismo del regime di Pechino, trovando modo di divulgare le proprie opere grazie all’interessamento di organizzazioni ed enti culturali stranieri.
In Italia di Liao Yiwu sono stati pubblicati Un canto, cento canti. La mia storia nelle prigioni cinesi (Mondadori, 2015; con prefazione di Herta Müller) e Il virus di Wuhan (Guerini e Associati, 2022), panoramica non fiction sulle mistificazioni che hanno accompagnato la diffusione del Covid-19 in Cina.
Mikhail Shishkin (Russia)
Mikhail Shishkin, nato a Mosca nel 1961, è ritenuto uno dei maggiori scrittori russi contemporanei. Da metà degli anni 90 vive in Svizzera, a Zurigo, dove lavora come insegnante e traduttore.
Il suo primo romanzo (Le reminiscenze di Larionov) è del 1993 e in patria fu giudicato il miglior esordio letterario dell’anno.
La sua fama iniziò a estendersi anche all’estero a partire dalla pubblicazione, nel 1999, di Vzyatie Izmaila (La presa di Izmail, edito in Italia da Voland), che gli valse il Russian Book Prize.
È datata 2005 l’uscita di quello che è considerato il suo capolavoro, Venerin volos (Capelvenere, edito in Italia da Voland), opera in cui svariate vicende private si articolano in un’unica e risolutiva trama collettiva. Con questo romanzo Shishkin ottenne il National Bestseller Prize e nel 2008 il premio Grinzane-Cavour.
Da anni oppositore del regime di Vladimir Putin – sia attraverso i suoi scritti (è tradotto in più di 30 lingue), sia nell’ambito della promozione della cultura russa all’estero – Mikhail Shishkin, con il suo più recente libro pubblicato in Italia (Punto di fuga, edito da 21 lettere nel 2022), fornisce un illuminate anticipazione dello scenario di guerra che va allestendosi – in maniera per certi versi inesplicabile – in Ucraina e sui confini dell’Occidente. Con sensibilità profetica Shishkin testimonia una corrispondenza epistolare fra due amanti; lei è casa, nella sua città, mentre il protagonista maschile è impegnato in un conflitto brutale, la Ribellione dei Boxer contro le ingerenze coloniali, avvenuta in Cina a partire dal 1900. Nell’intimità della parola scritta si alternano passato e presente, il nutrimento degli istanti condivisi e l’aridità della battaglia, di un orizzonte oscuro che contraddice la bellezza. È un libro sulla morte, Punto di fuga, tema ricorrente e mai conclusivo, e sulla trascendenza dell’amore come domicilio d’elezione dell’umano.
Asli Erdoğan (Turchia)
Nella vita e di rimando nell’opera di Asli Erdoğan (1967) la tensione tra appartenenza (alla Turchia, suo paese di origine) e cognizione di un’identità provvisoria, problematica, è uno snodo obbligato, materia prima e irrinunciabile.
Erdoğan intraprende, dapprima, un percorso votato alla scienza, laureandosi in fisica all’Università Bogazici, progetto di vita che la porterà due anni dopo al CERN di Ginevra, dove dal 1991 al 1992 studia per ottenere un Master in fisica nucleare. Vivendo sulla propria pelle la competizione e la diffidenza che caratterizza l’ambiente accademico, inizia a elaborare alcune linee tematiche, riflessioni che sostanzieranno il suo approccio alla narrativa. Scrive così i suoi primi racconti, in seguito assemblati nella raccolta Il mandarino meraviglioso, edita in Italia da Keller, nel 2014, punto di svolta a partire dal quale decide di dedicarsi a tempo pieno alla letteratura e al giornalismo.
In termini di notorietà internazionale è decisiva la pubblicazione di Kırmızı Pelerinli Kent (1998, La città dal mantello rosso), libro ambientato in Brasile – paese in cui la scrittrice si trasferì per svolgere un dottorato di ricerca –, manifesto di uno stile personalissimo, allo stesso tempo asciutto e immaginifico (in Italia il romanzo verrà pubblicato da Garzanti, nel 2020).
Parallelamente alla narrativa, come detto, Erdoğan esplora l’attualità dedicandosi al giornalismo: in particolare si fa promotrice della causa curda, dando a vita a manifestazioni di sostegno e protesta e scrivendo sul giornale Ozgür Gürdem. Tale impegno la porrà inesorabilmente sotto i fari della censura di regime, dentro un’escalation che avrà come culmine il suo arresto (nell’agosto del 2016) e la conseguente detenzione che si protrarrà per 136 giorni. Sempre Garzanti, nel 2017, ha raccolto in un volume dal titolo Neppure il silenzio è più tuo gli articoli che furono principale causa della sua incarcerazione.
Attualmente Asli Erdoğan vive in Germania; contro di lei un tribunale turco ha istruito un processo per “aver agito per la distruzione dell’unità dello Stato”, accusa che potrebbe cagionarle una condanna all’ergastolo.
Zoé Valdés (Cuba)
Esordisce come poetessa, Zoé Valdés (1959), autrice cubana, estasiata da Marcel Proust e dagli altri grandi della letteratura francese (Flaubert, Zola, Valéry, Hugo, Rimbaud), ma anche da Mishima, Nabokov, Joyce, dalla narrativa erotica cinese di Li Yu.
A partire da tale scrigno di letture Valdés costruisce la sua poetica, con al centro Cuba, l’essenza di una terra e di un popolo travolto e poi vittima di violente contraddizioni.
Zoé Valdés è una scrittrice generosa, capace di esprimere se stessa e di raccontare un’appartenenza in cui convivono frustrazioni, slanci passionali e un’incommensurabile nostalgia.
È ritenuta una voce altissima della narrativa caraibica, i suoi libri vengono pubblicati in molte parti del mondo, eppure la sua fama di grande osservatrice delle passioni umane sconta il castigo dell’esilio, di una testimonianza negata nel proprio paese di origine, “l’isola che voleva costruire un paradiso e si è trasformata in inferno”.
Almeno inizialmente è appoggiata dal regime castrista, tanto che per alcuni anni lavora a Parigi come delegata all’Unesco e nell’ufficio culturale dell’ambasciata cubana; ma le sue pubblicazioni non tardano a infastidire Castro e i suoi sodali, che dalla loro roccaforte ideologica le addossano l’attribuzione di “indesiderata”.
Altra etichetta – naturalmente non paragonabile alla precedente per gravità – la vede accostata alle forme e ai contenti del realismo magico, sorta di lasciapassare utilizzato ad hoc dal mercato editoriale globale. Un tentativo di armonizzare, di quietare con dei riferimenti rassicuranti una scrittura sferzante, che non riesce a ignorare la carnalità e il degrado morale, l’innocenza delle albe radiose e il progressivo disfacimento dei valori fondativi di una nazione.
In Italia, grazie all’editore Frassinelli, di Valdés sono stati pubblicati i romanzi L’eternità dell’istante, Il nulla quotidiano, La vita intera ti ho dato, Tu mio primo amore e Café Nostalgia; Giunti ha invece dato alle stampe Il nulla quotidiano, racconto di vita di un esiliato, mentre per Sperling & Kupfer è uscito il romanzo La vita intera ti ho dato. Recentissimo, infine, il volume Il bacio della straniera. Monumento porno-esistenziale all’amore con illustrazioni di Elly Viola (Farandula, 2021).
Attualmente Zoé Valdés risiede in Francia.