“Amiamo il pianeta. Un appello per salvare la nostra unica casa” Dalai Lama e Franz Alt
(Giunti Editore – 2021).
Nell’attuale contingenza storica e sanitaria l’individuazione di obiettivi comuni diventa essenziale. Ovviamente ancora prima della pandemia da Coronavirus – al di là di svilimenti e rimozioni – il pianeta scricchiolava a causa degli interessi di parte, e gli studi sul clima, sugli effetti del riscaldamento globale, contribuivano a comporre un quadro della situazione per certi versi grottesco, in cui ai giustificati e circostanziati segnali di allarme i governi di gran parte degli stati industrializzati rispondevano – se non con un’alzata di spalle -, con atteggiamenti attendisti e poco incisivi. Da un anno a questa parte l’emergenza Covid, la contrazione dei prodotti interni lordi, l’acuirsi delle tensioni e degli squilibri sociali sembrano aver convinto le élite del pianeta a individuare strategie per superare la crisi e elaborare processi all’insegna della sostenibilità. Solo il tempo ci dirà se l’emergere di una nuova consapevolezza stazionerà nel limbo dei buoni auspici o metterà in moto pratiche virtuose in ambito climatico e in difesa degli ecosistemi. Una cosa è certa: dagli egoismi reciproci si dovrà passare, al più presto, a una convergenza d’insieme, a una “responsabilità universale” in nome dei diritti individuali e collettivi, e figure carismatiche come il Dalai Lama, in tal senso, forniscono motivazioni che traggono forza dalla spiritualità, da un concetto di bene comune non assoggettato al progresso tecnologico e all’appropriazione delle risorse naturali. In “Amiamo il pianeta: un appello per salvare la nostra unica casa” il leader politico e religioso sottolinea come, dopo venti conferenze internazionali sul clima, sia giunto il momento di cooperare per abbattere i livelli di inquinamento, per evitare l’estinzione delle specie e far fronte all’emergenza idrica sul nostro pianeta. “Soltanto unendo etica e tecnologia in una nuova responsabilità morale riusciremo forse a scongiurare il peggio. Tutti i problemi causati dall’uomo possono anche essere risolti dall’uomo.” Il Dalai Lama avverte la necessità di operare in prima persona, di continuare a essere fonte di ispirazione, e a tal proposito ha come obiettivo la trasformazione del Tibet, suo paese di origine, nella più grande riserva naturale del mondo, in “un santuario smilitarizzato di pace e natura”, in ottemperanza alla dottrina e alla tradizione del buddismo tibetano. La consapevolezza ha uno sguardo aperto sul futuro, ricerca punti di incontro e solidarietà; le giovani generazioni, ora più che mai, sono alla ricerca di risposte e guide capaci di tracciare percorsi alternativi, rispettosi del creato e di ogni individualità. “Sono anch’io un convinto sostenitore della tutela del pianeta” ha scritto nel maggio del 2019 il Dalai Lama all’attivista svedese Greta Thunberg. “Noi umani siamo l’unica specie con il potere di distruggere la Terra così come la conosciamo. Ma insieme alla capacità di distruggere la Terra possediamo anche quella di proteggerla. E confortante vedere come hai aperto gli occhi del mondo sulla necessità di proteggere il nostro pianeta, la nostra unica casa, e hai ispirato tanti giovani fratelli e sorelle a unirsi a te in questo movimento”.
“La vita sul nostro pianeta : come sarà il futuro?” David Attenborough (Piemme – 2020).
“Questo libro è la storia di come siamo arrivati al nostro errore più grande e di come, se agiamo subito, potremmo essere ancora in tempo per rimediare.” David Attenborough è un simbolo, il suo lavoro di divulgatore scientifico ha reso edotti milioni di persone sulla complessità e sull’eccezionalità degli ecosistemi terrestri. Precursore del documentario naturalistico, per oltre mezzo secolo ha ideato e realizzato programmi televisivi di grande successo, fra cui le memorabili nove edizioni delle Life series con l’Unità di storia naturale della BBC. “La vita sul nostro pianeta : come sarà il futuro?” integra le esperienze passate, di un testimone curioso, pronto a qualsiasi impresa pur di illustrare al meglio il patrimonio naturalistico del pianeta, con le contingenze presenti, che muovono a riflessioni accurate, mai banali, sulle trasformazioni avvenute nell’ultimo secolo – e ancora in atto – prodotte dallo sfruttamento sconsiderato delle risorse, dalla pianificazione antropocentrica portata avanti dagli organismi politico-finanziari mondiali.
«È questa la vera tragedia del nostro tempo: l’inesorabile perdita di biodiversità del nostro pianeta. Perché la vita sulla Terra possa prosperare, deve esserci un’immensa biodiversità. Solo quando miliardi di organismi diversi approfittano di ogni risorsa e opportunità che incontrano, e le vite di milioni di specie si intrecciano tra di loro così da sostenersi a vicenda, il pianeta può funzionare in maniera efficiente.» Il messaggio di David Attenborough – illuminante come nel documentario “Una vita sul nostro pianeta”, collegato alla pubblicazione del libro e disponibile sulla piattaforma digitale Netflix – non si limita a scandire il countdown per il nostro pianeta, a elencare manchevolezze e inesorabile derive: da uomo e giornalista scrupoloso misura l’emergenza ambientale sulla veridicità dei fatti e delle vicende individuali, ponendo e ponendosi domande che richiamano alla responsabilità, ai gesti in grado di apportare un reale cambiamento di prospettiva.
Un concetto fondamentale espresso da Attenborough è quello di rewilding, ovvero la necessità di restituire il mondo alla natura. Fare un passo indietro – quindi – per ottenere più ampiezza di visione, ideando strategia di sostenibilità e prendendo esempio da individui o collettività più consapevoli dei pericoli a cui stiamo andando incontro. Memoria, filosofia, progetti innovativi: le strade da seguire, in parte, sono già state battute, corrispondono – ci ricorda il grande divulgatore inglese – ad azioni concrete, come quelle adottate dalla Nuova Zelanda, che ha sostituito il PIL con un indice di prosperità legato all’equilibrio fra profitto, persone e pianeta, o dal Marocco, in grado di provvedere al 40 per cento del suo fabbisogno energetico attraverso una rete di centrali elettriche rinnovabili.
“L’energia del mondo : geopolitca, sostenibilità, Green New Deal” Simone Tagliapietra (Il Mulino – 2020).
Professore di Energia, Risorse e Ambiente all’Università Cattolica di Milano e alla Johns Hopkins University di Bologna, Simone Tagliapietra, con “L’energia del mondo: geopolitca, sostenibilità, Green New Deal” riesce nel tentativo di abbinare al rigore scientifico l’attitudine a rendere esplicite e coinvolgenti tematiche il più delle volte assimilabili, in maniera esclusiva, dagli addetti ai lavori. Il suo è un approccio sistemico: chiama in causa, per chiarire i meccanismi del profitto e le impostazioni adottate dalle istituzioni pubbliche, i molteplici fattori connessi al tema dell’energia e dell’impiego delle risorse rinnovabili. Attori ed elementi determinanti di un auspicabile cambiamento sono la politica internazionale, le origini geologiche del pianeta, le difficoltà tecniche legate alla trasformazione energetica, la capacità o meno delle classi dirigenti di valutare la portata sociale (a medio e a lungo termine) delle proprie decisioni. Interessanti anche gli aspetti storici e geopolitici esposti nel volume edito da Il Mulino, concernenti l’utilizzo delle principali fonti di approvvigionamento: vengono ricordati dall’autore – fra gli altri – l’intervento dell’allora primo lord dell’ammiragliato inglese Winston Churchill, patrocinatore del passaggio dal carbone al petrolio per rendere la flotta anglosassone più performante di quella tedesca, le pressioni – in clima di guerra fredda – messe in atto dall’amministrazione Reagan per impedire ad alcune società francesi e tedesche di costruire gasdotti collegati ai giacimenti di gas naturale sovietici, e infine le ripercussioni sullo scacchiere petrolifero causate dal Coronavirus e dalle conseguenti misure sanitarie di lockdown.
Dunque la scienza e i gruppi imprenditoriali, auspicabilmente, alleati per far fronte ai cambiamenti climatici, al depauperamento delle biodiversità, adottando strategie di mitigazione (limitazione delle emissioni di gas serra) e adattamento (misure per ridimensionare gli effetti degli eventi meteorologici e della contrazione delle risorse idriche). E in un quadro generale – che riguarda, in egual misura, il Nord e il Sud del mondo – spicca la prospettiva socioeconomica del Green New Deal, metodo universale che si pone come obiettivo la neutralità climatica, la riorganizzazione del lavoro nei settori chiave dell’economia e il sostegno – affrancato dal dualismo fra sistemi di welfare e politiche industriali – delle comunità e dei territori più svantaggiati.
“Italian wood : alla scoperta di una risorsa che non conosciamo, i nostri boschi” Ferdinando Cotugno (Mondadori – 2020).
L’Italia è un paese boschivo, anche se la percezione elementare potrebbe farci pensare il contrario. In realtà più di un terzo del nostro territorio è coperto da alberi, una percentuale doppia rispetto a ottant’anni fa, e tale incremento è dovuto a fattori quali l’affievolirsi della civiltà contadina – custode del patrimonio silvestre – e al sopravanzare dell’agricoltura intensiva. Sono numeri, fatti oggettivi, che danno conto di una complessità in divenire, foriera di aspetti positivi ma anche di criticità.
Il contrasto agli incendi, la cura e la manutenzione del territorio, l’economia forestale, il ciclo delle biomasse, il dissesto idrogeologico e, sullo sfondo, la spada di Damocle del cambiamento climatico: le componenti in gioco, incombenti e sostanziali, troppo spesso sottovalutate dagli apparati di governance, richiedono interventi e politiche lungimiranti, in grado di proteggere e fornire piani di sviluppo. “I boschi non hanno bisogno di noi per vivere, ma hanno bisogno di noi per vivere con noi, in un territorio sul quale abitano sessanta milioni di persone”: Ferdinando Cutugno, giornalista professionista freelance dal 2009, con “Italian wood : alla scoperta di una risorsa che non conosciamo, i nostri boschi” traccia una mappa esemplificativa, un percorso divulgativo (anche in chiave ecologista) sulla dimensione forestale – e con essa etica – del nostro paese.
“Fragole d’inverno : perché saper scegliere cosa mangiamo salverà il pianeta (e il clima)” Fabio Ciconte (Laterza – 2020).
Cicli colturali sconvolti, specie impollinatrici sotto scacco, accadimenti meteorologici parossistici, la globalizzazione tentacolare che rende antieconomica la cura e la coltivazione sostenibile: sono solo alcuni dei fattori da considerare per cogliere a pieno la complessità del quadro socioecomomico, in cui emergenza climatica e agricoltura intensiva concorrono a generare scompensi, iniquità e consuetudini alimentari nocive. Fabio Ciconte, direttore dell’associazione ambientalista Terra! e impegnato da anni su tematiche ambientali e sociali, sottolinea come l’utilizzo della terra – con al centro la filiera dell’agricoltura – è responsabile per circa un quarto delle emissioni incidenti sul range climatico, percentuale che arriva al 37 per cento se si includono i processi di trasformazione dei prodotti alimentari. Esiste quindi un nesso, una compartecipazione di cause ed effetti che il volume edito da Laterza prova a tradurre e a rendere pienamente intellegibile, anche tramite il racconto di storie, aneddoti e angolazioni di realtà che solitamente restano ai margini della cronaca e del dibattito istituzionale (produzioni tipiche che migrano a latitudini più temperate impoverendo filiere d’eccellenza, suoli sempre più secchi e improduttivi, nuove invasioni aliene, dalle locuste alla cimice asiatica, storie di albicocche che soffrono d’insonnia per il grande caldo…). Rilevante è anche l’approccio che tende a responsabilizzare ogni singolo cittadino sull’utilizzo e la scelta dei cibi che vengono messi sulle nostre tavole: diventa quindi sostanziale la lotta contro lo spreco, fattore che determina inquinamento e aumento delle emissioni di biossido di carbonio. Il consumatore sempre più informato, quindi, ma anche fautore di scelte capaci di indirizzare – o perlomeno influenzare – le politiche industriali (ad esempio privilegiando prodotti caratterizzati da una modalità di confezionamento leggera e sostenibile).
“Il libro è costruito attorno al frigorifero perché, secondo me, è l’elemento che ciascuno di noi ha vicino per capire la crisi climatica.” ha sottolineato Ciconte in un’intervista sul sito ilgiornaledelcibo.it. “Di fatto, siamo abituati ad avere tutto in casa indipendentemente dalle stagioni, comprese le fragole e le arance contemporaneamente. Ma questo significa che stiamo forzando la natura a compiere cicli che normalmente non farebbe, stiamo inquinando per trasportare gli alimenti molto lontano da dove vengono prodotti, ci stiamo disabituando ad adattarci ai tempi naturali.”