Cuore di cane | Michail Bulgakov
ll cane Pallino
Il cane randagio è tutt’uno con la vita di strada; intercetta i nemici per evitare guai peggiori, anche se non sempre sfugge alle intenzioni malevole di cuochi, bottegai e portinai. Pallino (il nome gli viene assegnato d’imperio) è un randagio che sopravvive nei vicoli e nei sottoscala di Mosca; l’esperienza e l’intelligenza gli hanno permesso di penetrare (e non solo in superficie) il carattere degli umani, di interpretarne aspirazioni e punti deboli.
L’ultimo alterco con il cuoco della mensa per l’alimentazione normale degli impiegati del Consiglio Centrale dell’Economia Nazionale gli ha procurato una profonda bruciatura sul fianco, originata da un impietoso getto di acqua bollente. Nonostante ciò Pallino tiene botta: sopporta il dolore, riesce a trascinarsi sul marciapiede e a trovare rifugio nell’androne di un palazzo; nella penombra percepisce l’approssimarsi della fine, eppure non rinuncia a catalogare le espressioni, a filosofeggiare sulla sua condizione di reietto.
Nel bailamme della strada scorge poi un cittadino, un signore. Il randagio, come suo solito, osserva il bipede, registra con puntiglio una serie di dettagli: è uno che svolge un’attività intellettuale, questo tipo con la barbetta a punta e con quei baffi canuti, lanosi e fieri come quelli dei cavalieri di Francia. Però l’odore che butta fuori è cattivo, sa di ospedale e di sigaro.
L’incontro tra Pallino e il cittadino Filip Filipovič Preobraženskij, medico di fama mondiale, andrologo e ginecologo, è l’innesco che permette a Michail Afanas’evič Bulgakov di scatenare il fuoco della narrazione, di celebrare l’imprevedibilità e le funzioni più nobili dell’estro creativo. Cuore di cane, pubblicato per la prima volta nel 1925, si sviluppa a partire da una trama essenziale, da una compagine di personaggi solidi, tipologie che scopriremo ricorrenti, tragicamente attuali. Da un meccanismo inesorabile (una sorta di ballata malinconica) – che può riferirsi al genere satirico, comico, all’opera buffa e quant’altro -, Bulgakov tira i fili di un’ironia corrosiva, capace di far lievitare un mondo di automi, mascherine bizzarre così profondamente (e teologicamente) umane.
Il cane Pallino – convinto da un paio di morsi dell’irresistibile salame “Cracovia-extra” – viene catturato dal luminare e portato da quest’ultimo nell’appartamento-laboratorio dove Preobraženskij, coadiuvato dall’assistente dottor Bormental, esegue interventi che, a suo dire, rallenterebbero di molto l’invecchiamento cellulare. “Cara signora, vi innesterò le ovaie di una scimmia” annuncia il professore a una paziente intenzionata a rinfocolare l’ardore della passione, e l’orientamento della missione curativa (già da questa strampalata procedura di innesto) ci appare di proporzioni messianiche, un’immersione nell’eugenetica che in seguito vedrà come malcapitato protagonista il randagio Pallino, chiamato a confermare (sotto ai ferri) la protervia della scienza nei confronti dei rassicuranti processi naturali. Sta di fatto che, dopo un periodo di osservazione, al quadrupede verranno trapiantati l’ipofisi e le ghiandole seminali di un gaglioffo morto accoltellato in una bettola moscovita, un esperimento che susciterà accadimenti imprevisti, sia dal punto di vista clinico, che da quello sociale e di mappatura del territorio.
Imprevisti collocati su due rette parallele e convergenti (nella geometria politica tutto è concesso), che percuotono l’equilibrio domestico del dottor Preobraženskij, la sua impassibilità sprezzante, e mobilitano all’esterno il policromo vaudeville dell’esistenza.
Pallino – con ipofisi e testicoli umani – accede a una nuova identità (Poligraf Poligrafovič Pallinov), dapprincipio liberandosi delle peculiarità canine (il pelo, l’andatura a quattro zampe), in seguito integrandosi da homunculus nel nascente ordine sociale, condotto verso le luminose conquiste del proletariato da Švonder, presidente del domkom, il Comitato del Caseggiato. Pallino inizierà a gozzovigliare, a perfezionare la sua metamorfosi all’università della strada: non lo sfioreranno le reprimende del luminare, suo vanesio tutore, e lascerà defluire liberamente i vizi che gli sono congeniti, ereditari per conformazione endocrina (insidia le donne di casa, si ubriaca, sputa semi di girasole, perde il senno quando incontra sulla sua strada un gatto, predilige abiti chiassosi, da parvenu). Scrive Angelo Maria Ripellino: “Bulgakov non ci offre scelta tra la banalità inorpellata della schiuma professionale e il riottoso zoticume dei risaliti, che l’apologo adombra in aspetto canino.”
L’arma del grottesco modula l’inquietante parabola esistenziale della creatura, e dà spessore al vapore canzonatorio che – per mano di Michail Bulgakov – avvolge il dottor Preobraženskij, rappresentante di una tipologia imperitura nel tessuto antropologico russo, quella dei “nuovi ricchi”, degli scampati alle rivoluzioni e al naufragio.
Se Pallino è l’eccellenza del volgo crapulone, lo scienziato è il prototipo della spregiudicatezza, appena mitigata dalla cerimoniosità, dai bizzarri complementi di arredo che ingolfano la sua casa-ambulatorio (… poi le terribili corna di un cervo appese in alto alla parete, quindi un gran numero di pellicce e di galosce, infine un tulipano di opaline appeso al soffitto). Nell’animo di Preobraženskij rimbalza una sostanza mobile, che si modella in base alle contingenze, al prestigio dei suoi diretti interlocutori; purtuttavia la creazione dell’homunculus comporta tali ripercussioni da smuovere nel luminare un’avvisaglia di contrizione, di riflessione sui limiti suggeriti dal buon senso alla scienza sperimentale. Alla supposizione avanzata dal devoto Bormental – che cosa sarebbe accaduto se, invece di una ghiandola tarocca, fosse stata trapiantata nel randagio l’ipofisi di un grande pensatore -, lo scienziato risponde: “che bisogno c’è di fabbricare artificialmente degli Spinoza, quando una donna qualsiasi prima o poi può metterne al mondo uno?”
Il destino di Pallino, nella sua versione umana, è segnato. Una volta registrata la sua naturale predisposizione all’anarchia, l’impossibilità di contenerne gli istinti, il professore e il suo assistente si attiveranno per riavvolgere il nastro del tempo e delle loro macchinazioni chirurgiche. E a chi aveva preso a cuore l’urbanizzazione del signor Pallino – cercando di mascherare i propri interessi legati all’impresa – non resterà che rilevare il graduale ritorno del bipede alla sua versione canina, lo sguardo sempre più condiscendente dell’ex umanoide accucciato nei pressi dello scienziato Preobraženskij: “L’essere supremo, il grande benefattore di cani, era seduto in poltrona, e il cane Pallino giaceva disteso sul tappeto vicino al divano di pelle. La mattina, il cane soffriva di emicrania a causa della nebbia marzolina che gli faceva sentire come un anello intorno alla sutura sulla testa, ma col calore verso sera l’emicrania spariva. Allora Pallino si sentiva sempre più sollevato e i pensieri fluivano nel suo cervello, tiepidi e ordinati.”
Intriso dei temi e delle prerogative culturali del suo tempo, Cuore di cane – a quasi cent’anni dalla sua pubblicazione – assume su di sé gli interrogativi di ogni ricettiva spiritualità. L’inghippo del contemporaneo non intacca il messaggio, la sontuosa perizia nel tratteggiare usi e costumi di una compagine votata all’opportunismo. Nei personaggi straordinari di Pallino e e del piccolo diavolo Preobraženskij scorrono contraddizioni e tensioni universali: la povertà, l’ingiustizia subita, non immunizzano dall’insensatezza, e il prestigio, i titoli accumulati, volteggiano impalpabili sul palcoscenico della Storia. La grande letteratura di Bulgakov non dà scampo: Cuore di cane – anche ai giorni nostri – mette in prosa il dispositivo dell’accomodamento, l’impossibilità di ricavarne armonia e libertà incondizionata.