Città in letteratura. Le 10 migliori opere narrative su Napoli

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Città in letteratura: le 10 migliori opere narrative su Napoli

Ci sono città molto letterarie, città che si lasciano raccontare, che non sono solo sfondo. Città come Roma o Napoli offrono allo scrittore un immaginario ricco di suggestioni, di storie, di personaggi, linguaggi. È questo il motivo per cui nascono romanzi o racconti che vogliono raccontare la città, opere spesso di facile successo commerciale. Napoli è un caso emblematico: si parla spesso di sfruttamento” della napoletanità per vendere facilmente un prodotto, sia esso un film, una canzone o un libro.

La città di pizza, sole e mandolino ha venduto tanto di ciò che è stato creato usando pizza, sole e mandolino. Si può dire che la Napoli dei cliché sia un brand, un marchio capace di portare a facili guadagni.

Di libri che hanno sfruttato e sfruttano il brand Napoli ce ne sono tantissimi. Qui, invece, ci proponiamo di segnalare dieci opere narrative che hanno raccontato Napoli evitando i soliti cliché, o, almeno, usandoli con sapienza e raffinatezza.

La napoletanità: lo sfruttamento degli stereotipi

L’antropologa Gianfranca Ranisio considera Napoli una città-testo: ci sono tante stratificazioni culturali che sono come pagine, e la città si presta a narrazioni polifoniche. Napoli non è un semplice luogo fisico abitato dagli uomini, ma anche spazio “di percezioni e di emozioni” (Ranisio, La città e il suo racconto. Percorsi napoletani tra immaginario e reale, Meltemi, 2003, p. 7).

Un fenomeno che Ranisio rimarca è lo sfruttamento, da parte degli stessi napoletani, della “napoletanità” come narrazione fondata su stereotipi. La napoletanità, date le potenzialità simboliche produttrici di realtà, è diventata una chiave di lettura per capire la città e i suoi abitanti. Ma è diventata anche un mito a uso e consumo dei napoletani:

Questo mito ha alimentato una vastissima letteratura configurandosi come mito bifido, ambivalente, in cui convivono immagini antitetiche ed è diventato anche un prodotto esportabile, “da vendere”, giocando con le ambiguità del mito stesso.”

(Ranisio, cit., p. 14.)

Le due Napoli

C’è un saggio di Domenico Rea (1921-1994), Le due Napoli (1951), che dopo poche righe presenta un attacco proprio contro i napoletani che hanno volutamente ceduto alla napoletanità:

Quando qualcuno ha tentato la via della verità, per primi i napoletani si sono ribellati; e non vi si sono riconosciuti; mentre credono di ritrovarsi nelle canzonette e in altre opere scritte, che hanno una prosa tanto vivace quanto superficiale.”

(Rea, Le due Napoli (Saggio sul carattere dei napoletani), in Opere, Mondadori, 2006, p. 1333.)

Lo scrittore distingue due Napoli: quella “cantata, narrata, rappresentata e voluta dai suoi medesimi abitanti” (ibid.) e quella vera. La Napoli vera è violenta, poco oleografica, dedita a ozi e vizi, sporca.

Scrittori che hanno avuto fama e successo non si sono sporcati con la vera Napoli, ma hanno rappresentato la Napoli da cartolina e dei soliti cliché. Rea cita alcuni di questi: Salvatore Di Giacomo (1860-1934), Matilde Serao (1856-1927), Eduardo De Filippo (1900-1984). Uno scrittore meno raffinato quale era Francesco Mastriani (1819-1891), invece, è riuscito a cogliere l’aspetto vero di Napoli.

Rea crede in una Napoli più oscura e anche più cinica:

Solo il Mayer [Claude Albert Mayer] e pochi altri hanno capito che questo popolo di pagliacci sfrutta a freddo la pagliacceria, non avendo altro da vendere.”

(Rea, cit., p. 1349.)

Le più grandi opere su Napoli, forse, sono proprio quelle che riescono a narrare l’altra Napoli, quella vera.

10. “Il resto di niente” di Enzo Striano

Il resto di niente è un romanzo storico di Enzo Striano (1927-1987). Il libro fu concluso nel 1982, ma l’autore riuscì a pubblicarlo solo quattro anni dopo per una casa editrice scolastica, Loffredo Editore. C’è voluto qualche anno perché ottenesse un grande successo di pubblico, tanto che oggi può essere considerato un classico.

Il contesto storico è la rivoluzione napoletana del 1799. La protagonista è Eleonora de Fonseca Pimentel (1752-1799), giornalista e intellettuale portoghese giunta a Napoli a undici anni.

Nel romanzo si narra la vita a Napoli di de Fonseca fino all’impiccagione dovuta alla partecipazione alla rivoluzione che aveva portato alla momentanea istituzione della Repubblica Napoletana nel 1799. Nello stesso anno i Borbone tornarono al potere.

9. “Mistero napoletano” di Ermanno Rea

Il romanzo Mistero napoletano. Vita e passione di una comunista negli anni della guerra fredda di Ermanno Rea (1927-2016) è stato pubblicato nel 1995 e l’anno dopo ha vinto il Premio Viareggio.

È un’inchiesta romanzata scritta in forma di diario. L’autore è tornato a Napoli e in pochi mesi, tra il 1993 e il 1994, investiga sul misterioso suicidio dell’amica Francesca Spada, giornalista de «L’Unità», avvenuto nel 1961.

La narrazione affronta il complesso rapporto della giornalista con la sinistra napoletana e l’amore per un collega nel periodo che va dal 1948 al 1961.

8. “Nel corpo di Napoli” di Giuseppe Montesano

Giuseppe Montesano (1959) ha pubblicato tre romanzi, A capofitto (1996), Nel corpo di Napoli (1999) e Di questa vita menzognera (2003), con un tono tra il rocambolesco e il grottesco rabelaisiano e con Napoli sullo sfondo.

Tra questi il migliore è Nel corpo di Napoli. Tommaso e Landrò sono giovani scioperati che vivono alle spalle dei genitori e si nutrono di letteratura. Come nelle più classiche delle avventure, i due si mettono alla ricerca di un misterioso elisir nell’altra Napoli, quella sotterranea. Durante il viaggio incontrano personaggi singolari come Fulcaniello e ‛O Tolomeo.

La Napoli di Montesano è caos e eccesso, è città carnevalesca.

7. “Napoli ‛44” di Norman Lewis

Napoli ‛44 non è un romanzo ma un memoriale. Norman Lewis (1908-2003) fu ufficiale del British Army durante la seconda guerra mondiale.

Il libro uscì nel 1978. Lewis documentava la sua permanenza a Napoli. La Napoli degli ultimi anni di guerra pativa la fame, subiva ancora i bombardamenti, cercava di sopravvivere con metodi per lo più illeciti e amorali. Lewis raccontava, con stile secco, una umanità portata al limite dalle contingenze storiche.

6. “Scala a San Potito” di Luigi Incoronato

Luigi Incoronato (1920-1967) fu figlio di migranti giunto in Italia a dieci anni. Laureatosi in Lettere a Napoli, combatté per la resistenza e dopo la guerra si stabilì nella città partenopea, dove fu insegnante e giornalista. Si suicidò nel 1967.

Scala a San Potito è un romanzo breve e dalla trama esile. Vi si narra l’incontro e la frequentazione, da parte di un insegnante con idee di sinistra, di un miserabile che vive sulla Scala a San Potito. Il romanzo mostra una Napoli povera e cupa, in cui la miseria non è né bella né buona, ma gretta, cattiva, e in questo siamo vicini alla Napoli vera di Domenico Rea.

5. “Malacqua” di Nicola Pugliese

Malacqua di Nicola Pugliese (1944-2012) fu pubblicato nel 1977 presso Einaudi grazie a uno dei tanti illustri dipendenti della casa editrice torinese, Italo Calvino (1923-1985). Lo scorbutico Pugliese, giornalista del «Roma», stanco del lavoro di editing effettuato con Calvino, a un certo punto chiese che fosse pubblicato così com’era o niente. Il romanzo fu pubblicato, non ebbe una particolare fortuna commerciale, presto andò fuori catalogo.

Qui inizia una seconda storia. Per anni Malacqua è stato un romanzo introvabile, eppure ha circolato, in via sotterranea, ed è piaciuto molto. A Pugliese è stato chiesto da alcuni editori napoletani di ristamparlo, ma lo scrittore di un solo libro ha rifiutato. Ha concesso solo la pubblicazione di qualche vecchio racconto.

Nel 2013, scomparso l’autore da un anno, Malacqua è stato ristampato da Pironti.

Si tratta della storia di quattro giorni di pioggia ininterrotta, quattro giorni in cui la città frana e eventi misteriosi si succedono, in cui si crea l’attesa di un evento straordinario.

Il critico Silvio Perrella (1959) fa notare quanto sia presenta la pioggia nella narrativa su Napoli, la città del sole:

Dicono che a Napoli, a dispetto dei luoghi comuni, piova più che altrove. La letteratura ne è testimone. Quanto piove dentro i libri napoletani! Da i Tre operai di Carlo Bernari a L’amore molesto di Elena Ferrante, passando per Malacqua di Nicola Pugliese, è un diluvio.”

(Perrella, Introduzione a Mistero napoletano. Vita e passione di una comunista negli anni della guerra fredda, Einaudi, 2002, p. XV.)

4. “L’isola di Arturo” di Elsa Morante

La scrittrice romana Elsa Morante (1912-1985) vinse nel 1957 il Premio Strega con un romanzo ambientato nell’isola di Procida (NA), L’isola di Arturo.

La storia è narrata da Arturo, un adolescente il cui mondo è concentrato in un’isola. Arturo è figlio di padre che adora e di madre morta dandolo alla luce. Quando il padre, l’italo-tedesco Wilhelm, si risposa con Nunziata, Arturo, che non ha mai conosciuto una donna, inizia a provare sentimenti contrastanti. Da qui l’autrice rappresenta l’educazione sentimentale del ragazzo.

3. “La pelle” di Curzio Malaparte

Curzio Malaparte (1898-1957) fu giornalista e scrittore, e partecipò attivamente alle due guerre mondiali.

Nel 1944, nel ruolo di ufficiale di collegamento con il comando alleato del Corpo Italiano di Liberazione, fu a Napoli durante l’arrivo delle forze di liberazione. Come Norman Lewis, fu testimone della povertà e del degrado della città negli ultimi anni di guerra.

Narrò quella Napoli in La pelle (1949). Si tratta di un romanzo iperrealista, in cui vicende reali si mischiano alla finzione, in cui l’elemento inumano, al limite del mostruoso, si alterna all’elemento umano. La guerra è teatro del bene e del male, della violenza e della compassione.

Il 7 febbraio 1950, su «Il Giornale», fu proprio Domenico Rea a stroncare il libro in un articolo intitolato La pellaccia di Malaparte:

Malaparte prese favole e dicerie e, sbattutele, ne ha cavato un ammasso di parole e le ha chiamate: libro. Non ha voluto fare, dunque, la storia di quel tempo, non ha saputo tracciare la cronaca […] e ha lasciato che la penna trascrivesse i fattacci, senza peraltro studiarli, sviscerarli, rappresentarli.”

2. “Il mare non bagna Napoli” di Anna Maria Ortese

Il mare non bagna Napoli di Anna Maria Ortese (1914-1998) è una raccolta di cinque racconti: Un paio di occhiali, Interno familiare, Oro a Forcella, La città involontaria e Il silenzio della ragione. Pubblicata nel 1953, vinse il Premio Viareggio insieme a Novelle dal Ducato in fiamme di Carlo Emilio Gadda (1893-1973).

Napoli è rappresentata nel suo lato oscuro, sia dal punto di vista sociale (alcuni testi rasentano il reportage) sia dal punto di vista morale.

Il silenzio della ragione è un racconto che ha causato polemiche in quanto i protagonisti sono alcuni intellettuali napoletani, tra i quali Domenico Rea e Incoronato, conosciuti dalla Ortese nel periodo in cui visse in città. La scrittrice si sofferma sulle illusioni, sulla grettezza e anche sulla cupezza di questi scrittori, in un modo a tratti visionario e esaltato. Ortese da allora covò un senso di colpa che le impedì di tornare a Napoli.

1. “Ferito a morte” di Raffaele La Capria

Ferito a morte, pubblicato nel 1961, valse a Raffaele La Capria (1922) il Premio Strega e, nonostante si tratti di un romanzo complesso, un costante successo di vendita.

La Capria vi rappresenta la borghesia napoletana dedita ai piaceri del gioco e del mare.

La grandezza del libro è dovuta innanzitutto allo stile assai elegante e al contempo preciso dell’autore. Poi alla struttura vagamente proustiana, che esalta il tempo della giovinezza e quello della maturità dei protagonisti. Inoltre, alla capacità di far percepire con tutti i sensi una città che ne esce esaltata anche per bellezza senza mai rischiare l’effetto cartolina.