C’è nel destino di Paulo Coelho il cambiamento, il rimbalzo imprevedibile da un’esperienza all’altra, dall’irrequietezza giovanile alla costruzione di sé perseguita con feroce determinazione.
Una trafila quasi leggendaria, non priva di drammaticità, realizza la dimensione pubblica dello scrittore brasiliano, presenza dai contorni frastagliati e soggetta a interpretazioni, a giudizi di valore.
Coelho l’illusionista, il predatore di lettori che agisce sulle componenti sensibili, più esposte al verbo seducente. Stroncare Coelho diventa un esercizio di maniera, un bombardamento rivolto un fortino inespugnabile, che a ben vedere, avvicinandosi per meglio soppesarne la consistenza, si palesa come un’architettura di luci, un effetto scenico ben congegnato.
Scostando attribuzioni e sentenze rimane la sostanza della narrativa, l’appagamento individuale che moltiplicato più e più volte produce tendenze, processi di immedesimazione, in estrema sintesi circa 200 milioni di copie vendute e traduzioni in oltre 80 lingue.
Si diceva dell’irrequietezza giovanile, serbatoio e laboratorio di futuri trionfi editoriali.
Nel 1947 Coelho nasce a Rio de Janeiro, nel quartiere residenziale di Botafogo; la sua è una famiglia borghese, che ripone in lui le consuete aspettative inerenti alla carriera, al prestigio sociale. Ma Paulo ben presto si rivela refrattario alle convenzioni: studente in un istituto gesuita non aderisce alle regole, in particolare quelle legate ai precetti religiosi, e a partire da ciò il rapporto con i genitori inizia a deteriorarsi, a deviare verso forme di oppressione.
Per ricondurre sulla retta via un figlio ribelle – che nel frattempo ha cominciato a frequentare la letteratura e il teatro d’avanguardia – viene applicato il metodo della coercizione, dell’incomunicabilità: più volte il giovane Coelho, a metà degli anni 60, viene fatto ricoverare dai genitori in un istituto psichiatrico, nel tentativo di distoglierlo da passioni ritenute deleterie, non aderenti a una moralità di facciata.
Naturalmente, appena gli è possibile, Paulo si allontana dall’ambito parentale, per immergersi in un’esplorazione partecipe del mondo, attraverso il viaggio e il coinvolgimento nella cultura e nelle pratiche hippie. Libertà e irrequietezza lo conducono verso le arti magiche, in un tentativo di elaborare fenomeni alchemici e di trovare risposte che gettino luce sul senso della vita.
A queste esperienze fa seguito il sodalizio con un’associazione anticapitalista, la Società Alternativa, promotrice, tra le altre cose, di pratiche di magia nera, coinvolgimento che costerà a Coelho l’arresto per attività sovversive, e un successivo sequestro durante il quale verrà torturato da uomini della giunta militare al potere in quegli anni in Brasile.
All’apice del travaglio mistico, a inizio degli anni 80, alcuni incontri lo riavvicinano alla religione cristiana. Letteratura e accertamento di sé si integrano definitivamente, confluendo nell’esperienza del Cammino di Santiago, che Coelho effettua nel 1986. Può ritenersi aperto un filone aureo, editorialmente parlando: un anno dopo il Cammino, con il titolo “O diario de um mago”, esce il libro che rievoca il pellegrinaggio e che contiene in nuce suggestioni e temi tipicamente coelhiani. Nel nostro paese il racconto verrà tradotto e pubblicato quattro anni più tardi, con il titolo “Il Cammino di Santiago”, seme gettato nel terreno fertile della narrativa, il cui primo frutto sarà “L’Alchimista”, a tutt’oggi il libro di Coelho più famoso.
Siamo agli albori dell’ultimo decennio del 900, e “L’Alchimista” (in Italia dato alle stampe nel 1995) raduna a sé le incertezze – anche politiche – di un futuro sempre più nebuloso. La storia del pescatore Santiago, spinto da un’illuminazione onirica a mettersi in cerca di un tesoro perduto, asseconda slanci interiori e desideri di riscatto: ognuno di noi, con la complicità di un influsso cosmico, è in grado di realizzare il proprio disegno supremo, la propria leggenda.
Il mood è consolatorio, avvolgente, ha il pregio di riportare nel quotidiano la traccia incorrotta dispersa nel caos del pianeta (esemplare in questo senso il piccolo volume “Manuale del guerriero della luce”, sorta di guida per scorgere nell’affanno un orizzonte di integrità).
I lettori si abbeverano alle trame, ai contenuti che esplicitano l’essenza: nel 1994 viene pubblicato “Sulla sponda del fiume Piedra mi sono seduta e ho pianto”, ennesima prova della capacità di Coelho di illuminare le molteplici sfaccettature dell’animo umano. Da un amore giovanile, fiaccato dalla timidezza, Pilar compie un passo decisivo verso l’accertamento del divino nei fenomeni minimi della natura. Dilemmi esistenziali, in cui le pressioni sociali, i corpi vibranti di amore e senso del limite, si incarnano in personaggi esemplari: nella trilogia del Settimo Giorno, che comprende, oltre a “Sulla sponda del fiume Piedra mi sono seduta e ho pianto”, “Veronika decide di morire” (1998) e “Il diavolo e la signorina Prym” (2000), tre persone comuni – e qui il meccanismo di identificazione risulta implacabile – sono chiamate a scelte definitive che implicano accettazione, presa di coscienza, sconfessione della vanità.
Battezzato il tono di fondo, Coelho, nelle successive prove editoriali, perfeziona l’abilità nell’escogitare trame e nell’innervare i suoi personaggi di tensioni in egual misura ataviche e contemporanee.
In “Undici minuti”, romanzo pubblicato in Italia nel 2003, Maria coltiva ambizioni che dal Brasile la conducono in Europa, e a Ginevra in particolare. Sogna di entrare nel mondo della moda, ma alcune circostanze si allineeranno affinché la ragazza assuma su di sé la decisione di prostituirsi. Dal fondo del baratro, non cede alla tentazione di annientarsi, di volgere lo sguardo per oscurare la propria anima. In quegli undici minuti che concede ai clienti compie una revisione dolorosa, trova il modo di infrangere le apparenze e di giungere – grazie all’incontro con un pittore – a una rinnovata e ferma consapevolezza.
Oltre i pareri critici, le stroncature e la venerazione dei fans, risulta in ogni caso accattivante “l’identità” Paulo Coelho, il modo in cui ha dribblato drammi personali facendo tesoro del meglio e del peggio concessogli dalla vita. Il suo romanzo più autobiografico, “Hippie”, pubblicato nel 2018, risulta quindi rivelatore di un percorso (spirituale e geografico) che nulla ha di scontato, che si è nutrito – negli anni della contestazione giovanile, dei figli dei fiori e dell’amore universale – di un’inesauribile tensione verso ciò che è immateriale, e quindi, pienamente condivisibile.
“È importante condividere. Per quanto possa apparire scontato, è fondamentale non lasciarsi condizionare dal pensiero egoistico di arrivare da soli alla fine del viaggio. Chi agisce in quel modo, scoprirà soltanto un paradiso vuoto, privo di interesse…” Da “Hippie” di Paulo Coelho, La nave di Teseo (2018), trad. Rita Desti.