La letteratura e il mare, e in particolare il Mediterraneo, un connubio affascinante.
Il mediterraneo in barca di Georges Simenon.
Simenon la macchina sforna-gialli, indagatore dei lati oscuri della personalità, ma anche reporter puntiglioso, appassionato. Fra il 1931 e il ’46 espande la sua curiosità, il suo amore per la scrittura, verso i territori offertigli dal viaggio, traendone, come sempre, diletto per se stesso e per i suoi lettori. Così, alla vigilia di ogni partenza, Simenon si recava da un amico caporedattore per proporgli – en passant – una collaborazione: «La settimana prossima parto. Ti interessano dodici articoli?». Il Mediterraneo è quindi una delle tappe del suo Grand Tour letterario, che dalle isole Porquerolles – affacciate sulla costa provenzale – lo condurrà fino in Tunisia, con passaggi all’isola d’Elba, Messina, Siracusa e Malta. Il grande narratore belga si serve di una goletta per navigare e accostare le molteplici identità del Mare Nostrum: per lui c’è un racconto in ogni porto, e la sua stilografica si sbizzarrisce nel tratteggiare esistenze, nel dar corpo a sfumature e a introspezioni del paesaggio. Un passo alla volta, un miglio nautico alla volta, dialogando o passeggiando nei quartieri traboccanti di voci, Simenon individua un’identità mediterranea, una tavolozza di colori che ha radici culturali e spirituali profondissime.
Ouatann. Ombre sul mare di Azza Filali
Per le popolazioni che abitano tra il Mediterraneo e il Sahara, la parola ouatann esprime un concetto ampio, che solo semplificando si può accomunare a quello di patria. Ouatann è comunicazione interpersonale, principi, uno stile di vita che si imbeve nel quotidiano e nel rapporto con la dimensione contemplativa. In “Ombre sul mare” il valore dell’identità sembra però sfaldarsi, eroso dal connubio politica-malavita, e in un villaggio vicino a Biserta, in Tunisia, chi sente di non aver più tempo da perdere si imbarca per l’Italia, verso un destino che è un lancio di dadi. Siamo nel 2008, e lo sguardo della scrittrice Azza Filali – una delle voci più forti e più sensibili della Tunisia odierna – si muove per osservare cinque personaggi, cinque anime inquiete che si ritrovano – ignote le une alle altre – in una villa a ridosso del mare. La disillusione sembra avere un antidoto, ossia la partenza, la recisione dei legami con il passato, soluzione che però l’ouatann, o quello che ne resta, vorrebbe negare, derubricare a sfregio della memoria. È un romanzo di contrasti, “Ombre sul mare”, che prova a descrivere il paese magrebino alle soglie della rivoluzione del 2011: vi si intrecciano temi sociali e storie private, corruzione e struggimento dell’attesa, in un amalgama stilistica che ingloba bagliori di letteratura classica e gradazioni noir. “L’uno dopo l’altro, i quartieri hanno raggiunto il clan dell’affarismo e Tunisi è cresciuta senza ritegno, riempiendo i suoi vuoti, innalzando le sue gobbe, vendendo la sua anima ai quattro venti. Oggi, la città si distende davanti al mare…Rettile difforme, prende il sole attraverso la paccottiglia delle sue facciate. I quartieri antichi, confinati nel patrimonio della memoria, sono invecchiati in silenzio: i più avveduti si sono trasformati in “siti-catalogo”, destinati ai turisti… “
Marinai perduti di Jean-Claude Izzo.
Se Jean-Claude Izzo è il cantore – con la celeberrima trilogia noir – di Marsiglia, dei suoi struggimenti e delle sue asprezze, “Marinai perduti” è dell’autore francese il romanzo “intimo” del Mare Mediterraneo. Saldate in una trama semplice – una nave ancorata a Marsiglia, impossibilitata a prendere il largo per questioni burocratiche – si incrociano le vite e le ispirazioni di tre personaggi: il libanese Abdul Aziz, comandante di una nave e di un’esistenza in disarmo, Diamantis, il suo secondo greco, malinconico e voce poetica del racconto, e infine il vitalistico Nedim, perso dietro i suoi sogni di conquista. Fanno da controcanto alle schermaglie dei marinai perduti indimenticabili figure femminili, ora presenti, carnali, altre volte abusate o trasfigurate in un’idealità dolente. E ancora una volta, nell’attitudine romantica di Izzo, risplende Marsiglia, città di incontri, sensuali e inevitabili, mentre nella prospettiva mitica si estende il Mediterraneo, mare che solamente i greci – sottolinea Diamantis – ossequiano con la fecondità della parola: “Hals, il sale, il mare in quanto materia. Pelagos, la distesa d’acqua, il mare come visione, spettacolo. Pontos, il mare spazio e via di comunicazione. Thalassa, il mare in quanto evento. Kolpos, lo spazio marittimo che abbraccia la riva, il golfo o la baia…”
Attesa sul mare di Francesco Biamonti.
Un altro marinaio, questa volta ligure, in un romanzo uscito nel 1994, che per certi aspetti segue dappresso – o anticipa – le orme di “Marinai perduti”. Ma Biamonti, a differenza di Jean-Claude Izzo, è uno scrittore di terra, di terrazzamenti scoscesi sul mare, che fa del lirismo e delle vertigini simboliche i suoi prediletti compagni di scrittura. Edoardo – protagonista di “Attesa sul mare” – è un navigatore riluttante, accetta un ultimo incarico per interiorizzare, fare tesoro dello struggimento della sconfitta. Anche lui lascia la donna amata sul confine dell’attesa, e Clara evoca perfettamente l’archetipo femminile modellato dallo scrittore ligure: donne fiere, determinate e fragili quando si annuncia il maestrale, amanti e accudenti, mai del tutto comprese e rivelate. L’ultimo incarico di Edoardo dà a Francesco Biamonti l’occasione per riflettere sulle tragedie del presente, sulle ferite slabbrate dei primi anni novanta: la nave fa rotta verso le coste dell’ex Iugoslavia, incendiata dalla guerra civile, e il carico non può che essere scottante, il committente misterioso. “Sul mare ci si sente orfani, il navigante si strugge per tutto ciò che ha lasciato e ricompone i conflitti che a terra dividevano il male dal bene”. Dai primi ordini perentori, metallici, si giunge – in un’identificazione di Mediterraneo – al silenzio e alla fuga onirica, e la radio di bordo tace, insieme ai codici della memoria, agli esiti del proprio peregrinare nel mondo.
Le volpi vengono di notte di Cees Nooteboom.
“Era sorprendente che tutto fosse rimasto uguale! L’acqua, la forma delle gondole, il gradino di marmo su cui stava seduto. Solo noi scivoliamo via, pensò, lasciandoci dietro la scenografia della nostra vita.” Otto racconti che spaziano da Minorca a Venezia, dalla Liguria montaliana alle coste spagnole. Il Mediterraneo terraqueo, di approdi e dissoluzioni, legato inevitabilmente alle variazioni di luce: vite forsennate ormai al tramonto, cristallizzate nel rimpianto, nel dettaglio sbiadito di un’immagine. Cees Nooteboom, olandese, avvezzo alla combinazione di terra e mare, sembra rifarsi alle dissonanze del paesaggio per ritrarre personaggi irrisolti, affondati nelle zone d’ombra della vita. Paula, una ex modella, desiderata, implacabile giocatrice d’azzardo; Heinz, gran bevitore e tuffatore, console onorario in un paesino ligure a picco sul mare; Rudolf e Rosita in vacanza in Spagna, le incomprensioni insidiose, un temporale improvviso a scompaginare la meteorologia dei sentimenti; un critico d’arte a Venezia, ramingo nel tentativo di delineare un’antica passione, la vischiosa nostalgia per una ragazza americana dagli occhi di ardesia per sempre prigioniera dentro una fotografia. Nooteboom naviga sulle increspature del ricordo, implacabilmente a fuoco, lasciando trasparire sulla pagina, come pulsione improvvisa, un’ironia lieve e sotterranea. “Leggere i suoi racconti significa immergersi nei suoi personaggi fino a scoprire ogni singola piega del loro carattere. Uno scavo che rode l’anima dei protagonisti di ogni racconto fino a renderli trasparenti agli occhi del lettore, al punto che basta metterli in controluce per scoprire il loro passato, i loro dubbi e le loro paure.” Fabio Napoli da mangialibri.com
Il Ciclope di Paolo Rumiz.
Un’isola sperduta nel Mediterraneo e un punto fisso, luminoso. Il faro previene e allo stesso tempo guida, e non è soltanto uno strumento per assecondare la navigazione. Paolo Rumiz, instancabile viaggiatore, osservatore delle correnti abissali, che sostengono o lacerano la contemporaneità, non può che cogliere la simbologia subitanea, la dissolvenza di pensieri legati alla concretezza del faro. Si è interposta la tecnologia, nel frattempo, con strumenti di bordo inattaccabili, e i bagliori dalle scogliere, dai promontori, perlopiù seguono a ruota l’imperio degli automatismi, del controllo remoto. Ne “Il Ciclope”, evidentemente, Paolo Rumiz compie un “viaggio immobile”, e nell’arco di tre settimane, nel silenzio dell’isola e del mare aperto, memorizza i venti della Rosa, condivide spazi e gesti quotidiani con il gestore del faro, assorbe l’eccitazione della tempesta, sperimenta la frugalità, la maestosità del cielo. Un’isola, una sorgente, uno spruzzo di luce che accumula impressioni del mondo e rilancia il suo laconico avvertimento; un taccuino per gli appunti, esperienza intima dello scrittore triestino, sensibile e generoso nell’aprirsi verso l’orizzonte della storia e dell’odierno caos, estensioni in cui si intrecciano miti, culture, commerci, dispute leggendarie e infime, la temerarietà dei migranti e le rotte corazzate, grottesche, delle moderne navi da crociera.
La morte di Murat Idrissi di Tommy Wieringa.
Lo scrittore olandese, classe 1997, così diverso dal suo connazionale Ceese Nooteboom, in ogni suo romanzo elettrizza i cavi dell’emotività, racconta storie crudeli, di impossibili redenzioni. Gli esodi, le fughe sul baratro tra Oriente e Occidente, sono un leitmotiv del suo cammino autoriale, e “La morte di Murat Idrissi” raccoglie le tensioni di un’ispirazione calata negli abissi, nelle perturbazioni epocali il più delle volte sottaciute dai media e dalla realpolitik. Protagoniste del romanzo edito da Iperborea sono Ilham e Thouraya, due ragazze olandesi di origini marocchine, che a partire dal disimpegno vacanziero si ritrovano nella scatola di trasmissione dell’epopea migratoria, complici del trasbordo – da Tangeri attraverso lo Stretto di Gibilterra – di un giovane clandestino che potrebbe essere un loro fratello, il simbolo di un anelito millenario e inesauribile, del lasciarsi alle spalle la povertà, una tradizione smembrata dalla globalizzazione. Il respiro si affievolisce, nella penombra della stiva, e quel corpo nel bagagliaio testimonierà il destino delle centinaia di esseri umani che, ogni anno, si mescolano alla polvere – sudario sconsacrato – delle strade e delle no man’s lands europee. Valori in bilico, l’impatto fra culture e stili di vita: è uno sguardo impietoso, quello di Tommy Wieringa, il registro baritonale, oscuro, di un sogno – strenuamente poetico – che si lacera nei porti e sulle sponde del Mediterraneo. “Sulla riva opposta, nel cimitero di Santo Cristo de las Ánimas, a Tarifa, dietro una fila di paletti bianchi c’è un angolo separato per i morti senza nome che il mare porta a riva. Ciuffi d’erba coriacea si piegano al vento. Sulla corrente ascensionale una colonna di avvoltoi e cicogne continua a volare in cerchio, in un moto senza fine. Lontano, sotto di loro, luccica una nave – il traghetto da Tangeri ad Algeciras.”
Il fuorilegge di Mimmo Lucano.
La storia di Mimmo Lucano è “la storia dell’Italia”, e la vocazione che lo contraddistingue, il suo percorso politico, mette a nudo le contraddizioni di una democrazia asfittica, ripiegata su se stessa. Mimmo Lucano, il sindaco di Riace che, nel 2016, la prestigiosa rivista americana Fortune ha inserito nella lista dei 50 World Greatest Leaders, insieme a – fra gli altri – papa Bergoglio, Angela Merkel, Aung San suu Kyi, Obama e Bono Vox, a partire da un’idea ha ricollocato nel suo alveo naturale il concetto di progresso, di bene comune. E l’idea, scaturita contemplando i frangenti del Mediterraneo, si è sviluppata fino a generare uno straordinario sistema di accoglienza diffusa, che dalla fine degli anni novanta fino al 2018 (anno in cui Lucano viene messo agli arresti domiciliari con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina) ha dato dignità e una casa in cui vivere a migliaia di migranti. Impossibile non stupirsi nel ripercorrere la vicenda umana dell’attivista calabrese, evitare di confrontare le dinamiche odierne, personalistiche, con i passaggi del suo progetto di integrazione, modello di collettività realizzato in un paese all’estremo Sud d’Italia, ai piedi dell’Aspromonte, in piena Locride. “Il fuorilegge” di Mimmo Lucano è un racconto personale e valoroso di piccoli gesti che diventano magistero di umanità, una testimonianza che invita donne e uomini del Mediterraneo ad aprire gli occhi su chi siamo e su chi vogliamo essere. “Noi abbiamo creduto in un riscatto di quel luogo, abbiamo creduto a un’utopia sociale e reale. La nostra non è stata un’accoglienza per buonismo, ma ha seguito i binari del ripopolamento di un luogo-limite, per cui l’emergenza è diventata la soluzione. E tutto questo ha creato una comunità che si è risollevata e ha creduto in un futuro possibile, per chi abitava lì e per chi è arrivato in seguito”.
Portami al mare. Un viaggio nel Mediterraneo per piccoli scienziati di Emanuela Fanelli, Ernesto Azzurro e Martina Troise.
Il nostro mare è in pericolo, l’elemento comune che lambisce popoli e confini si sta deteriorando, e il governo del mondo sembra sottovalutare, se non ignorare, questa calamità annunciata; nel domino degli ecosistemi la precarietà è già di per sé sostanziale, un aspetto con cui fare i conti, e con cui dovranno fare i conti – in particolar modo – le nuove generazioni. Si tratta quindi di rendere visibile la fragilità, collocare la bellezza della rappresentazione, del segno pittorico, accanto allo stupore della conoscenza, all’armonia del creato. “Portami al mare. Un viaggio nel Mediterraneo per piccoli scienziati” è un albo illustrato curato da due biologi del mare – Emanuela Fanelli e Ernesto Azzurro – che avvicina i piccoli lettori all’ecologia, alla possibilità di far compenetrare la bellezza, l’incanto del Mare Nostrum, con l’esigenza di esserne promotori e custodi. Le illustrazioni scientifiche – di tutti gli abitanti del Mediterraneo, dal pesce pilota al capodoglio – sono di Ernesto Azzurro, e sono state inserite in bellissime tavole colorate realizzate da Martina Troise.
Terraneo di Marino Amodio e Vincenzo Del Vecchio.
Europa, stratificazione dei destini comuni e Mar Mediterraneo: gli aspetti giuridici, che richiamano al diritto internazionale e che subiscono le oscillazioni della politica, attingono a un sistema originario, modellato sul magma mitologico. E la tensione fra terra e mare, costitutiva, nel presente si declina – sempre più ferocemente – come slogan, presa di posizione, antitesi fra diritti inalienabili e sovranismo, pattugliamento del territorio. Il Mare Mediterraneo è un sentire generativo, per le genti europee, costellazione di valori, di incontri e interposizioni esiziali, di storie private e collettive, fonte che dispensa e rimette in circolo biografie, paure, le nostre più intime aspirazioni. Marino Amodio e Vincenzo Del Vecchio con la loro opera “Terraneo” restituiscono al Mediterraneo tutta la sua valenza immateriale, il senso occultato dall’odierno clamore, dai miraggi ideati per interposta persona. Realizzano un’era fantastica, i due architetti e graphic designer napoletani, in cui il Mediterraneo è un continente-matrice attraversato da uomini in cammino, e le città costiere, antropomorfe, si affacciano sul mistero fluido, inafferrabile, con sguardi colmi di apprensione. Ed è proprio per superare l’inquietudine dell’ignoto che Terraneo – nella visione ribaltata, fondativa – viene trasformato in mare e il mare nella designazione dei continenti. Il volume illustrato, edito da Momo, reinventa gli albori del Mediterraneo e dei suoi popoli: solo la favola, l’ipotesi visionaria, è in grado di trasformare le città invisibili in un’osservazione complessiva e in tempo reale.