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Come venivano restaurati i libri nell’antichità

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Recuperare i libri: comevenivano restaurati nell’antichità

La manutenzione e la cura dei libri è un problema che l’uomo si pone dai tempi antichi. I supporti utilizzati per la scrittura, e cioè il papiro o la pergamena, si deteriorano per una serie di motivi (il tempo, agenti esterni come l’umidità o il clima, gli insetti, ecc.). Le biblioteche antiche, in particolare quelle greche e romane, prevedevano degli accorgimenti architettonici per la tutela dei testi.

Qui di seguito ci occupiamo del modo in cui gli antichi recuperavano, e cioè restauravano, i testi deteriorati. Il libro preso in esame per affrontare l’argomento è La cura del libro nel mondo antico. Guasti e restauri del rotolo di papiro (Liguori, 1997) di Enzo Puglia.

Il restauro in colla e olio di cedro

Una testimonianza sulle prime rudimentali operazioni di restauro dei libri è il De bibliothecis del grammatico Marco Terenzio Varrone detto Reatino (116 a.C.-27 a.C.). Tale testo, non pervenutoci, doveva essere stato scritto in seguito all’incarico affidatogli da Giulio Cesare di costituire a Roma la prima biblioteca pubblica. C’è un frammento, tuttavia, ripreso dal grammatico Carisio (IV secolo d.C.), in cui si accenna ai materiali utilizzati per il restauro: la colla e l’olio di cedro.

La colla doveva servire per rattoppare i rotoli, per attaccare le parti spezzate e per stendere una patina protettiva. Si presume che fosse composta di farina, acqua bollente e aceto.

L’olio di cedro, spalmato sui libri, doveva impermeabilizzarli e, per l’aroma, doveva agire contro gli insetti. Era composto da una sostanza del ginepro opportunamente trattata. All’olio di cedro si alternava quello di croco o della mirra.

I bibliofili restauratori

Un testo letterario di Luciano di Samosata (120 d.C.-180/192 d.C.), Contro l’ignorante bibliofilo che acquista molti libri, indirettamente illustra, attraverso la figura di un bibliofilo, alcuni procedimenti di restauro che dovevano essere effettuati in quei tempi.

I volumi andavano costantemente monitorati “svolgendoli” per controllare se ci fossero eventuali danni. Svolgere i rotoli, anche qualora non vi si trovassero danni, era utile a ripulirli dalla polvere la cui azione nociva ci è nota tutt’oggi.

Da una lettera dello Pseudo-Diogene il cinico si evince che i rotoli andavano anche posti contro sole. In questo modo era possibile scoprire fessure, lacerazioni e danni minimi che normalmente sfuggivano allo sguardo.

Scoperti i guasti, li si riparava incollando sopra di essi pezzi di papiro.

Un’altra operazione che si può presumere venisse condotta in quei tempi consisteva nella cura dei margini, nell’eliminare le estremità danneggiate.

L’operazione finale era l’applicazione dell’olio di cedro o di croco a protezione dagli insetti, in particolare dalle tigne.

Riavvolto il rotolo e inserito in una custodia in pergamena, venivano sistemati il bastoncino o più bastoncini.

Contro i danni gravi

In precedenza abbiamo affrontato i casi meno gravi di danneggiamento di un testo: piccoli strappi, fessure, margini.

Ci sono, invece, casi più gravi in cui il rotolo è spezzato oppure ne risulta danneggiata una parte consistente.

Testimonianze di restauro per casi simili si trovano nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio (23 d.C.-79 d.C.). Secondo l’interpretazione effettuata da Giovanna Menci rispetto a un passo dell’opera, Plinio avrebbe trattato il caso di un difetto di fabbricazione del rotolo a causa dell’uso di fibre difettose. Plinio suggerirebbe, dunque, di eliminare la parte guasta del rotolo per poi unire le due parti del volume con la colla.

Uno strumento importante era il martello (malleus). I margini delle parti da incollare, infatti, andavano prima assottigliate e, a operazione conclusa, spianate.

Specialisti del restauro: i glutinatores e gli scribi

A occuparsi dei guasti di entità minima potevano essere persone inesperte o i proprietari del libro. Al contrario, il restauro di un testo gravemente danneggiato pare fosse di competenza di specialisti: i glutinatores e gli scribi.

In Italia, stando sempre alla testimonianza di Plinio il Vecchio in Naturalis Historia commentata dall’esperto nella lavorazione del papiro Corrado Basile, esistevano officine cartarie in cui la carta importata dall’Egitto veniva selezionata e sottoposta a trattamenti a seconda dei difetti che poteva presentare. Secondo Basile, i glutinatores erano i lavoranti di queste officine. I glutinatores, dunque, selezionavano e si prendevano cura della carta.

Lo scriba, alla capacità di prendersi cura materialmente dei testi danneggiati, univa quella di effettuare le operazioni di scrittura e trascrizione. Gli scribi erano anche copisti. Possono essere considerati come quelli che oggi, nel mondo editoriale, definiremmo redattori: erano in grado di correggere le parti errate secondo i dettami dell’autore. Gli scribi lavoravano sia all’allestimento sia al restauro dei libri.