opere-horror-da-non-perdere-parte-1

10 opere horror di cui non si può fare a meno (parte 1)

1024 536 BW Traduzioni

Stephen King, colui che a giusta ragione viene considerato oggi un maestro vivente dell’horror, nel saggio anti accademico “Danse macabre” (1981) in cui parla del genere che ha da sempre praticato con grande successo, dice che “la storia di orrore è per sua natura allegorica e simbolica”: l’horror permette di dire, usando il simbolico, ciò che si ha paura di dire, ciò che si è costretti a tenere sotto controllo, esprime il deviante, l’antisociale.

Qualche decennio prima, il padre dell’horror moderno, H.P. Lovecraft, individua nell’atmosfera l’elemento più importante di una storia di orrore perché a incutere realmente terrore non è la trama, ma “la creazione di una data sensazione” (L’orrore soprannaturale nella letteratura, 1936).

Ancora prima, Sigmund Freud introduce un concetto rivelatosi capitale per il genere horror: il perturbante. Perturbante è tutto quanto induce inquietudine, disagio, turbamento, un qualcosa di spaventoso, dice Freud, che “risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare”. Per quanto riguarda gli esempi concreti, Freud riprende lo psichiatra tedesco Ernst Jentsch secondo il quale a provocare queste sensazioni sono esseri animati sulla cui vitalità si nutrono dubbi, oppure oggetti che sembrano vivi come figure di cera, pupazzi e automi.

Altre fonti di perturbamento analizzate da Freud sono il sosia, il doppio, la ripetizione di alcuni eventi (collegato non al caso, ma al destino, alla fatalità), il malocchio, fenomeni addebitati all’ “onnipotenza dei pensieri”, tutto ciò che riguarda la morte (cadaveri, fantasmi, ecc.).

Una lista di 10 opere horror che assurgono a classici del genere ci consente di comprendere e valutare come l’orrore, dal romanzo gotico in poi, è stato declinato in letteratura.

“Il castello di Otranto” di Horace Walpole

Horace Walpole (1717-1797) fu amico del poeta Thomas Grey (colui che iniziò, con Elegia scritta in un cimitero campestre del 1751, la poesia cimiteriale che trattava di morte, cimiteri, fantasmi, uccelli notturni e simili) e autore di un imponente epistolario di oltre tremila lettere dedicate a arte e politica. Qui usò un neologismo che avrebbe avuto grande successo: «serendipity», e cioè una scoperta casuale ottenuta mentre si cerca altro.
Per anni modificò la sua villa per trasformarla in un piccolo castello e dopo quarant’anni raggiunse brillantemente l’obiettivo: il castello fu ammirato esempio di neogotico.

Il castello di Otranto (1764), suo unico romanzo, è il primo romanzo gotico. La prima edizione fu
spacciata come traduzione di un manoscritto stampato a Napoli nel 1529, solo dalla seconda edizione
l’autore di manifestò.

opere-horror-castello-di-otranto

La trama è molto intricata, a determinarne le vicende è una profezia nefasta: castello e signoria di Otranto sarebbero crollate se il possessore fosse diventato troppo grande. Il principe Manfredi perde il suo figlio preferito, Corrado, schiacciato da un grosso elmo il giorno prima di sposare Isabella, figlia del marchese di Vicenza. Manfredi vuole sposare Isabella, Isabella scappa, Manfredi viene trattenuto da un suo antenato fantasma. Isabella viene aiutata dal contadino Teodoro che, dopo altre vicende misteriose e sanguinose, quando alla fine il castello crolla, viene indicato dalla visione spettrale di Alfonso come il vero erede della signoria. La rivelazione riporta i personaggi al giusto ordine.

“Vathek” di William Beckford

William Thomas Beckford (1760-1844), ereditata un’ingente fortuna a soli dieci anni, si dedicò a arte, architettura e scrittura. Fu collezionista di opere letterarie, acquisì la biblioteca dello storico Edward Gibbon e la trasferì nella sua nuova dimora di campagna, Fonthill Abbey, dove stabilì anche la sua collezione d’arte. Viaggiò molto, anche per non rispondere degli scandali legati all’omosessualità. La vita dedita all’arte e ai piaceri ne causò la dissipazione del patrimonio.

Scrisse Vathek, opera di duraturo successo, di getto in francese nel 1785 (tre giorni e due notti), e la pubblicò in inglese nel 1787. Il romanzo narra le vicende del califfo Vathek che, posseduto da curiosità e generosità, ospita tutti gli stranieri di passaggio a Samarah. Tra questi c’è un uomo orribile, Giaour (infedele), un demonio che induce Vathek a rinnegare Maometto e a sacrificare cinquanta bambini di nobile famiglia in cambio della rivelazione di segreti esoterici. Le vicende si susseguono tumultuose senza che Vathek possa trovare pace. Il romanzo contiene un apparato di note corposo e dotto.

“I misteri di Udolpho” di Ann Radcliffe

Ann Radcliffe (1764-1823) portò il romanzo gotico a un notevole successo. Trascorse un’esistenza ritirata tale da far sorgere il sospetto, poi smentito dal marito, che si fosse ammalata di depressione e che fosse poi stata rinchiusa in manicomio.

10-opere-horror-da-non-perdere

I misteri di Udolpho (1794) è ambientato nel sud della Francia nell’anno 1584. Emily St. Aubert, figlia di proprietari terrieri in declino, morta la madre, intraprende un viaggio in Guascogna con il padre. Frattanto conosce Valancourt, uomo affascinante e spirito affine, del quale si innamora. Morto anche il padre, Emily va a vivere presso la zia il cui marito, Montoni, in seguito le porta al castello di Udolpho costringendo così i giovani alla separazione. Intento di Montoni è indurre la moglie a cedergli le proprietà destinate alla nipote. Nel castello avvengono episodi misteriosi e conturbanti fino al lieto fine: Emily ottiene le proprietà che le spettano e riabbraccia Valancourt.

“Il monaco” di Matthew Lewis

Matthew Gregory Lewis (1775-1818) studiò lingue, trovò posto prima in ambasciata e poi alla Casa dei Comuni per il Wiltshire. Nel mentre, pubblicò drammi e romanzi di successo. Il padre, deceduto, gli lasciò ricchezze e proprietà, sicché Lewis intraprese viaggi prima nelle Indie Occidentali, poi in Giamaica per studiare la schiavitù contro la quale era intenzionato a scrivere. Non vi fu tempo: tornando a casa perì di febbre gialla.

Il monaco fu pubblicato in una prima versione nel 1796 ma, ritenuto eccessivo nello sviluppo degli elementi gotici, fu riproposto due anni dopo in una versione epurata.

Protagonista è Ambrosio, monaco giovane e bello e santo che vive vita ritirata e prega al cospetto di una Vergine Maria bellissima. Stringe un forte legame con il novizio Rosario, che poi si scopre essere una donna che da sempre lo ama, Matilda. Ambrosio decide di non denunciarla e di mettersi alla prova, ma i due, inevitabilmente, iniziano una relazione passionale peccaminosa, e Ambrosio scopre anche che la fanciulla è stata la modella del dipinto della Vergine presso la quale ha sempre pregato.

Ambrosio non frena più la sua lussuria: adocchia una fanciulla giovanissima, Antonia, e con l’aiuto di Matilda che fa ricorso alla stregoneria riesce quasi a possederla. Viene frenato dalla madre di lei. Ambrosio la assassina, su suggerimento di Matilda porta Antonia in una cripta e dà sfogo alla lussuria, poi viene scoperto e condannato al rogo insieme alla complice. Stringe un patto con Lucifero per evitare le fiamme, ma il diavolo gli rivela, davanti a un dirupo, cose difficili da sopportare: il monaco avrebbe ricevuto la grazia, Antonia era in realtà sua sorella e Matilda era un essere demoniaco che doveva corromperlo. Ambrosio si getta dal dirupo.

Nel 1930, Antonin Artaud, attore e scrittore surrealista, ne fece una versione francese

 

To be continued… 

 

 

Photos Credits:

www.landeincantate.it

www.londonita.com